12 marzo 2015

Ricordando Burri, auguri Paese piccolo

 
Nasceva esattamente cento anni fa un artista che ha segnato la storia: Alberto Burri. Geniale, e bollato dal suo Paese come eccessivo. Oggi lo si festeggia e si ama, ma cos'è cambiato davvero nell'Italia del contemporaneo?

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Nel 1959, grazie alla lungimiranza di Palma Bucarelli, si beccò un’interpellanza parlamentare, perché era “troppo estraneo” all’arte tradizionale per essere esposto alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Oggi avrebbe compiuto cento anni e il mondo, dopo non aver mai compreso in pieno il suo essere “troppo artista”, rivoluzionario, decostruttore, lo festeggia a gran voce, come si fa con i morti illustri, di qualsiasi estrazione siano. Ah, Alberto Burri, il più grande, il grandissimo! 
Per fortuna ce ne siamo accorti più o meno in tempo che Alberto Burri è stato, forse insieme solo a Fontana, il vero laceratore del ‘900 italiano, colui che ha fissato in forme atemporali la violenza della storia, la caducità del mondo moderno, la corrosione dell’intento. Lui, che la fondazione a Città di Castello se l’era fatta da solo a partire dalla fine degli anni ’70, chissà che direbbe oggi che tutti si tolgono il cappello di fronte alla sua lezione stilistica, etica, culturale. 
D’accordo, anche oggi vogliamo essere polemici. E lo spunto viene ancora una volta dal Ministro Dario Franceschini, che proprio a Città di Castello ha preso la Presidenza del Comitato per il Centenario di Burri, composto da Bruno Corà, Gabriella Belli, Sandrina Bandera, Antonio Natali, Fabrizio Felice Bracco, Jannis Kounellis, Luciano Bacchetta e Maria Vittoria Marini Clarelli. Oltre a dire che il paese dell’Umbria deve diventare un luogo turistico internazionale, ha sfoderato un’altra perla: «Il centenario è l’occasione (…) per valorizzare lo straordinario contributo dell’arte contemporanea all’immagine del nostro Paese. Il nostro Paese è stato grande solo quando ha investito nella sua cultura». Dalle nomine al Mibact in giù, fino al Padiglione Italia alla Biennale di Venezia, caro Franceschini, bisognerebbe rifletterci sopra. E ogni tanto interpellare qualcuno che di arte, quando ne parla, sa quel che dice. 
In secondo luogo vogliamo ricordare che Alberto Burri, sotto il profilo della formazione, era medico. Investire (in Italia) nella ricerca scientifica, nella scuola, in infrastrutture necessarie, in arte e anche nel turismo, non significa forse investire in cultura? 
L’impressione, Ministro, è che ancora una volta non sia l’arte il vero problema. Anche perché l’arte contemporanea in questo Paese dà talmente lustro ed è talmente “visibile” che, come abbiamo già ampiamente rimarcato, quest’anno i nostri artisti (vivi) non se li è filati nessuno per la Biennale. 
Ancora una volta questa “politica” dell’investimento in noi stessi ha l’aria di una teoria new age: lavorare sul proprio benessere. E come fare se non ci sono strumenti e se quel poco che si potrebbe raccogliere viene bollato come “eccessivo”, come erano stati etichettati i Sacchi cinquanta e passa anni fa? I morti non fanno tremare i polsi, i vivi a volte ci riescono, come ci era riuscito Burri. Meglio allora fare un bel party al cimitero. In tutti i casi ci uniamo al ricordo di un immenso artista, e facciamo gli auguri a un piccolo Paese. (MB)

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