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Kenneth Noland (1924-2010), è tra i maggiori protagonisti dell’astrattismo americano e in particolare del Color Field Painting, corrente artistica così definita da Clement Greenberg (1955), collegata al Suprematismo europeo. L’artista statunitense espone per la prima volta a Milano nella mondanissima galleria di Nicola Cardi, una decina di opere di diverse dimensioni dall’energia che supera le rigidità strutturali e compositive minimaliste che ripercorrono la sua ricerca artistica dal 1958 al 1980.
La mostra a cura di Anna Maria Maggi, suddivisa su due piani della galleria milanese, riporta l’attenzione sugli elementi “puri” della pittura, spingendosi oltre il gesto indagato nell’ambito dell’Espressionismo astratto da Pollock a De Kooning. Qui è determinante non soltanto la pittura a campi di colore, ma anche il rapporto tra colore e texture, pittura e spazio, con l’obiettivo di materializzazione del concetto di “edge” (bordo), di confine tra i limiti fisici della struttura geometrica e quelli concettuali che si compenetrano, nell’azione, nel fare arte. Incantano le sue opere realizzate con colori acrilici, pigmenti solubili in acqua, quindi più morbidi, stesi direttamente su tela grezza non trattata, che accentuano un effetto d’immaterialità della pittura.
Queste opere di varie dimensioni confermano che “Art is a practice”, come diceva Noland, poiché concretizzano un processo che comprende gesto e astrazioni cromatiche risolte in una serie di “ripetizioni differenti” e in contrapposizione con la riproducibilità tecnica minimalista. Al piano terra della galleria accolgono il pubblico le opere “assimetriche” un piacere per l’occhio, dalle forme che vanno oltre il rettangolo e il quadrato, dall’appeal dinamico, attraverso composizioni in bilico tra scultura e pittura, composte da bande diagonali e orizzontali, dai colori compatti ma non rigidi, di proprietà dell’artista mai uscite dal suo studio, appartenenti alla serie di Target – Stripes – Shaped Canvas e Palaid. Sono opere destabilizzanti per una compresenza di verticalità e orizzontalità, dall’energia ipnotica come Call (1973), della serie Plaid, un maestoso rombo di colore arancio, con linee verticali ed orizzontali che si intersecano al centro della tela. Nel 1964 Noland espose alla Biennale di Venezia opere nel Padiglione americano, quando la Pop Art colonizzava l’Europa e il premio fu assegnato a Robert Rauschenberg.
Di Noland hanno galvanizzato critica e pubblico le opere della serie Stripes, realizzate tra gli anni Sessanta e Settanta: tra le più note c’è Praire, esposta nel 1970 nella galleria di Leo Castelli di New York. Sono imperdibili le opere della serie Shaped: due lavori verticali a forma di esagono irregolare del 1977 e Half day (1976), che evoca un ventaglio in cui i colori sono stesi a fasce monocrome verticali. Tra variazioni cromatiche ed espansioni geometriche non perdetevi al primo piano della white-gallery una delle forme concentriche: un’opera della serie Target o Circles degli anni Cinquanta, simili a bersagli che evocano per associazione quelli di Jasper Johns, anche se quelli di Noland si differenziano per un effetto cinetico da vedere più che da raccontare, come questa imperdibile mostra personale in cui la “certezza” della geometria e delle strutture primarie euclidee si contrappone alla metamorfosi cromatica in cui forma e colore determinano un’inesprimibile architettura del vedere anticipata da Paul Cezanne, il primo pittore francese che andò oltre il soggetto e del contenuto narrativo, aprendo riflessioni sull’analisi della percezione delle forme. Il catalogo con testo a cura di Franco Fanelli edito dalla galleria è da collezione.
Jacqueline Ceresoli
mostra visitata il 20 gennaio
Dal 20 gennaio al 21 aprile 2015
Kenneth Noland: 1958-1980
Cardi Galley,
Corso di Porta Nuova, 38 2012, Milano