21 marzo 2015

Alia Mahmoud/L’intervista

 
LA TUNISIA DEL CAMBIAMENTO
Considerata tra le persone più influenti in politica estera. Qui ci parla del suo Paese, del terrorismo e dell’arte

di

Cresciuta a Manhattan, Alia Mahmoud ha deciso da qualche anno di accompagnare il suo Paese d’origine lungo il cammino del rinnovamento, post primavera araba, e si è trasferita a Tunisi, dove copre la carica di Corporate Citizenship Manager e Direttrice del Innovation Center alla Microsoft. 
La incontriamo al tavolino di un caffé sul Lungotevere prima della conferenza di TEDxRoma, col suo sorriso ottimista e splendente, proprio come il sole della primavera romana. Che fanno sembrare i gravi e recenti fatti di Tunisi solo un grottesco e impossibile incubo. E le chiediamo un po’ di tutto.
È cambiato davvero qualcosa in Tunisia dopo la Primavera Araba?
«Assolutamente, sono cambiate molte cose, a partire da quella più ovvia che è la transizione politica da una dittatura alla democrazia. Abbiamo scritto una nuova costituzione, siamo riusciti a smantellare un sistema politico dettato da un solo uomo, e abbiamo avuto le prime elezioni presidenziali democratiche, senza troppa violenza e conflitti. I tunisini devono essere orgogliosi per questo. Il secondo grande cambiamento è stato nelle società civili, che sono esplose: prima della rivoluzione le organizzazioni non profit erano considerate come volontariato, mentre ora le società civili sono emerse come settore economico, più professionali, più organizzate, ora le persone hanno la possibilità di creare le loro ONG, e queste e le società civili sono diventate un anello importante per connettere il cittadino allo Stato. Inoltre, gli imprenditori di successo, o persone con idee innovative, prima della rivoluzione non erano motivati a mettersi in gioco, la loro logica era “Ok, se inizio la mia impresa e vado bene, poi arriva il regime e prende tutti i miei profitti” e non c’era nessun incentivo a essere innovativi, a diventare globali. Il risultato è che si aveva un sistema dove le imprese rimanevano sotterranee, senza che nessuno ne sapesse nulla. Solo ora si sta venendo a sapere cosa facevano le persone perché possono parlarne senza paura».
Museo del Bardo
Quali sono le difficoltà incontrate nel cambiamento?
«La dittatura ha messo radici in profondità. E dunque l’avere elezioni democratiche non comporta automaticamente che la corruzione e i problemi interni del sistema scompaiano. Credo che la grande sfida per noi sia prendere decisioni molto difficili, per smantellare certe strutture e muoversi veramente a un livello diverso. Ora abbiamo una democrazia, ma ancora inquinata da vecchi meccanismi di corruzione. Ci vorrebbe un governo molto coraggioso per scavare e capire da dove la corruzione viene fuori. Se non riusciamo a fare questo, si perderanno anche tutti i cambiamenti positivi che ho menzionato prima».
Museo del Bardo
Il terrorismo è un pericolo per il processo di rinnovamento?
«Certamente. Davvero quello che è successo è molto doloroso, e penso che siamo ancora sotto shock. Ci è già capitato di avere a che fare con i terroristi, ma si è sempre trattato di piccoli incidenti isolati soprattutto sul confine con la Libia. C’è un grande rischio di disfare tutti i progressi raggiunti finora, è una cosa pesante per me o per i miei colleghi, perché provi ogni giorno a rendere la Tunisia un posto migliore, provi a convincere persone da tutto il mondo di quanto è meraviglioso il tuo Paese, quanto vale la pena investirci, e che abbiamo potenziale, talenti, tecnologia, startups, persone preparate, e poi succede tutto questo e ti chiedi perché lo stai facendo, visto che ogni cosa che hai fatto può essere cancellata in un momento. È anche un campanello d’allarme per il nuovo governo: abbiamo bisogno di migliorare la sicurezza, trovare una via di mezzo con il controllo ossessivo che c’era durante la dittatura, al quale comunque nessuno vuole tornare. Serve un posto sicuro dove vivere, lavorare, fare affari, avere una famiglia, ma anche garantire sicurezza agli stranieri, perché il turismo è una grossa parte importante della nostra economia. Ho visto su Facebook la reazione dei tunisini dopo l’attentato ed era per il 90 per cento non negativa, dicevano “Non possiamo farci spaventare, dobbiamo rimetterci in piedi e tornare al lavoro, dobbiamo lavorare ancora più duro, muoverci ancora più veloci, essere ancora più innovativi”. È molto importante vedere questa solidarietà in Tunisia, una risposta ottimista di unità di fronte al tentativo di spaventarci».
Tunisi, dopo la strage del Museo Bardo
Hai parlato di solidarietà: in un momento come questo quanto è importante rinforzare il senso della comunità mediterranea?
«Una delle cose che affermo oggi nel mio intervento a TedxRoma è che la Tunisia ha bisogno di aprirsi, di attrarre talenti da tutto il mondo, ma soprattutto dalla regione in cui si trova, siamo più forti solo se lavoriamo insieme. Penso che la rivoluzione ci abbia fatto allontanare dal rapporto tradizionale Francia-Tunisia, e diversificare verso Paesi differenti, e penso che ci si debba innanzitutto aprire e giocare nella regione un ruolo più aperto e cooperativo. Si deve cambiare mentalità e ragionare su come il tuo prodotto e la tua soluzione potrebbero avere impatto nei Paesi vicini, e costruire questa rete regionale di collegamenti e scambi».
La Microsoft ha una collezione di arte: ha mai pensato di collezionare arte contemporanea?
«Sono una grande amante dell’arte, certo non a un livello professionale, una delle cose che preferisco fare in New York City è passare ore e ore al MoMA, ed è per me uno dei più rilassanti momenti della vita. E questa è una delle cose che in assoluto mi manca di più di New York: Tunisi e New York sono mondi estremamente differenti, e la mia maggiore difficoltà nell’adattarmi a Tunisi è che non ci sono gallerie d’arte. Solo qualcuna e piccola Sidi Bou Said, Cartagine, qualcosa in centro. Mi manca visitare i musei d’arte, e se un giorno avessi i soldi mi piacerebbe avere la mia collezione d’arte!»
Tunisi, proteste dopo la strage del Museo Bardo
Per quel poco che c’è, com’è la scena artistica in Tunisia?
«La mia impressione è che si può trovare cose interessanti anche per le piccole tasche, anche musica dal vivo o performance. C’è un posto aperto da poco che si chiama Agora tra La Marsa e Gammarth, dove vivono la maggior parte degli stranieri, con un piccolo teatro, un caffé e uno spazio espositivo, dove proiettano film, fanno concerti di jazz, mostre di arte. È davvero bello vedere queste cose! Altre piccole gallerie fanno fatica a restare aperte perché non c’è la cultura di comprare arte, e penso ci sia una percentuale minima di tunisini benestanti che spendono in arte. A parte questo, c’è un festival incredibile a Djerba, cha merita di avere più eco internazionalmente, perché fanno un gran lavoro e credo che siano artisticamente sottovalutati. Djerba è una piccola isola sulla costa della Tunisia, popolata soprattutto da ebrei. Qui vengono invitati street artist da tutto il mondo, che arrivano a Djerba e dipingono muri, palazzi, porte, poi fanno delle foto e usano i social media, tramite l’hashtag #Djerbahood, per condividerle, è diventato virale, almeno in Tunisia. Se cerchi qualche foto attraverso Google o Instagram trovi talenti incredibili, e questo è incoraggiante perché è qualcosa che succede in Tunisia, e non nella capitale, ma in un’isola, e capisci che qualcosa sta iniziando a cambiare. Ma penso che sia ancora qualcosa di circoscritto, di emergente».
Carten Nicolai, unidisplay 2012, real-time projection, large-scale screen, mirrors, dimensions variable
Pensi che l’arte possa avere un ruolo per l’innovazione?
«Assolutamente sì. Sono molto affascinata dal concetto di design e dal suo collegamento con la tecnologia. Lavoro con ingegneri e tecnici brillanti, in grado di scrivere codici per applicazioni o software estremamente complessi, ma quando li guardi sono così brutti da vedere che non ti va di usarli! Penso che il design abbia un ruolo importantissimo nella tecnologia, perché ogni tecnologia deve invogliare le persone ad usarla, e penso che una parte del design sia arte, guardare qualcosa e fare in modo che sia connesso meglio con le persone, che possa parlargli. A volte basta mettere certi occhiali e cambia il modo in cui si guarda qualcosa, da 2 dimensioni diventa a 3 dimensioni e i colori, l’arte possono trasformare qualcosa che è statico in qualcosa che è movimento. Sono assolutamente convinta che l’arte sia una parte enorme nell’innovazione ».

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