Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Con l’hashtag #twitterisblockedinturkey tantissimi utenti hanno protestato e ironizzato sul blocco del social media, poi ripristinato, nelle ultime ore in Turchia. Stavolta la pietra dello scandalo è stata la fotografia postata del PM Mehmet Selim Kiraz, responsabile delle indagini riguardo alla morte di Berkin Elvam -il quindicenne colpito alla testa da un lacrimogeno nel giugno 2013 durante le proteste anti-governative di Gezi Park e morto dopo mesi di coma.
Il Procuratore, la scorsa settimana, era stato preso in ostaggio da un commando armato legato al DHKP-C, una formazione di matrice marxista-leninista, che chiedeva che la polizia riconoscesse pubblicamente la sua responsabilità nella morte del quindicenne. Il risultato della giornata è stata sia la morte del PM che di due terroristi.
La pubblicazione della fotografia, però, ha fatto scattare la molla della politica, e il Governo turco ha immediatamente chiesto la rimozione dell’immagine pena l’oscuramento dei social network. Oscuramento che, per qualche ora, c’è stato, trasformando il tutto in una sorta di barzelletta. Anche in questo caso non vogliamo sminuire nulla, ma la debolezza della politica è – oggi più che mai – evidente nel suo ripercuotersi sulle nuove piazze virtuali. Se ne sigilla il dialogo, si tenta di smorzare la rabbia che corre in rete, e soprattutto l’informazione, sperando in un controllo più capillare dei “sudditi”.
Quello con cui non si è riusciti a fare i conti, ancora una volta, è con l’ironia: uccellini blu colpiti da coltelli, da colpi di pistola o ingabbiati in furgoni della polizia, ma in tutti i casi morti o costretti a stare zitti per colpa dello Stato. Uno Stato che nella sua condizione dispotica non solo sta mettendo a dura prova la cittadinanza turca, ma che in questi casi dimostra tutta la sua fragilità: chiudere e poi riaprire i due principali social (mentre oltre centocinquanta sono oscurati) è una prova di forza finita male. E il Paese lo sa bene, come lo sanno i suoi governanti. (MB)