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08
aprile 2015
All’epoca dei fatti era poco più che sessantenne, e oggi di anni ne ha 76. Si chiama Arnaldo Cestaro ed era, la notte del 21 luglio 2001, uno dei poco più di 90 ospiti “indesiderati” della Diaz di Genova, in quei giorni forsennati di G8. Che è successo? Semplicemente che, dopo quasi 15 anni, la Corte Europea di Strasburgo grazie al ricorso dell’uomo (una storia di militanza nel Partito Comunista e di attivismo pacifista) ha condannato l’Italia per “tortura”. Il Belpaese, quella notte, con l’incursione e le manganellate che spaccarono ossa e teste a chi dormiva dopo una giornata di manifestazione, si è beccato un’altra amara sconfitta: alle scuole Diaz vi fu, appunto, la violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani – che proibisce la tortura e ogni trattamento degradante e umiliante – e l’articolo 13 perché è mancata un’inchiesta efficace per determinare la verità.
Lo si sa da allora: quella notte, come riportato anche nel film “Diaz – Don’t clean up this blood” di Gabriele Vicari (che ieri ha twittato la sua tristezza nell’apprendere che sia dovuta essere la Corte Europea ad accorgersi che vi fu tortura, e non l’Italia stessa) non solo non vennero rispettati i princìpi fondamentali dell’articolo 3 della Carta dei Diritti Umani, ma fu “sospesa” la vita della Costituzione, lo Stato si prese una sorta di “pausa” perché la polizia potesse – come ricordò anche Vicari – riequilibrare la sua posizione di comando dopo essere stata accusata di non aver mantenuto l’ordine pubblico durante le giornate di manifestazione dove morì anche Carlo Giuliani.
Ma la Corte è andata oltre ed ha denunciato l’inadeguatezza della legislazione penale italiana che non prevede questo reato, con il risultato che i responsabili del pestaggio, finito per fortuna senza vittime ma con feriti gravi che nelle ore successive avevano continuato ad essere tenuti in ostaggio nella caserma di Bolzaneto, non furono mai condannati.
Ora cosa cambierà? Probabilmente nulla, tantomeno nella vita dell’ultimo “giusto” Cestaro che si è preso un risarcimento di 45mila euro per dieci costole, una gamba e un braccio rotti e che, ovviamente, rifiuta l’idea. Giustizia è fatta qualcuno dirà, ma che giustizia è se il colpevole è lo Stato e se sono serviti 15 anni e la tenacia di un singolo cittadino per sbattere in faccia al Paese quella verità che tutti videro? (MB)