Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Scontrarsi, fermarsi, interrompersi, essere spinti, essere respinti. Darsi fastidio, insomma. Per poter fotografare. Questo è il verbo che definisce la biennale, per non parlare della nostra banale vita quotidiana. Andy Warhol l’aveva predetto, dieci minuti di celebrità per tutti. Posto dunque sono, è il mio sguardo pubblicato che conta, ovvero vi faccio vedere io.
Più volte mi sono incantata a guardare, invece delle opere, le persone che le fotografano.
Pensando a un lavoro, a una performance, all’invadenza di un oggetto di cui non è più possibile fare a meno, di cui non sappiamo più fare a meno. Se vietassero lo smartphone durante il vernissage?
Eppure ne abbiamo fatto a meno per tanto tempo…
Quello che si vede è l’esperienza, quello che si vende, è l’esperienza.
In coda. In coda per l’esperienza di sgomitare per vedere un lavoro. Un’opera d’arte intendo, senza intralciare chi la sta fotografando, intralciati da chi fotografa, un labirinto senza fine.
E guai se non ci si vede abbastanza bene.
La splendida installazione di Shilpa Gupta all’Arsenale, For, in your tongue, I cannot fit, per esempio è in penombra. Quindi l’assedio diminuisce e ci si può persino muovere, l’artista fa del pubblico un performer, tra i microfoni sospesi e le voci dei poeti infilzate da lance basse. Le frasi, che leggiamo e che sentiamo, sono quelle di poeti e attivisti politici, leader famosi o sconosciuti nelle lingue e nei secoli più diversi, incarcerati.
Installation view of Laure Prouvost, Deep See Blue Surrounding You/Vois Ce Bleu Profond Te Fondre, for the France Pavilion at the 58th Venice Biennale, 2019. Courtesy of Institut français.
Anche nel padiglione francese, dopo una lunga coda, Laure Prouvost ci disarma con un lungo video e due stanze incantevoli ma poco illuminate, buie oserei dire, e ci tocca stare al suo gioco, ci tocca avvicinarci e guardare, ci tocca sostituire il dettaglio all’insieme, che in una foto non ci sta.
E tra un opera e l’altra, fuori dalla finestra c’è Venezia, non dimentichiamocelo, quindi s’impongono due tipi di ritratto: della città, delle gondole, dei Canaletto mancati e il selfie davanti quello sfondo, quello vero, mica quello rarefatto dell’arte.
Un altro buio, un altro incanto, Etude n.10 in B minor, op.25. Homage to Chopin, dedicated to Roman Opalka, lo splendido video di Maria Teresa Sartori alla Fondazione Querini Stampalia. Un uomo e una donna si parlano, litigano, tubano. Due bocche e la musica di Chopin, una performance che esiste solo grazie al video. Da NON perdere.
Studio n.10 in Si minore, op. 25. Omaggio a Chopin. Dedicato a Roman Opałka 2011/2012, Video, 7’40’’, b/n, sonoro, courtesy l’artista, Galleria Michela Rizzo e Galleria Studio G7. Courtesy Fondazione Querini Stampalia, Venezia Photo Michele Sereni
Di nuovo in coda, stavolta Fondazione Prada, a vedere Kounellis.
Ferro, cotone, mosca. Materiali così pesanti, materiali così effimeri, la vita essiccata, rimasta appena.
Ma te lo metteresti a casa? chiede l’occhialuto alla biondona.
Passano oltre perché non si riesce a fotografarlo: da lontano la mosca non si vede e da vicino non si vede l’importante piedistallo. Questa è la magia di Kounellis, ho appena il tempo di pensarlo che mi chiedono di spostarmi per fotografare un lavoro che inavvertitamente stavo coprendo. Gosh!
Ora sono in otto a guardare la mosca, si grattano il mento, alzano il sopracciglio, scuotono la testa, per fortuna la stanza accanto è foderata d’oro e diventa la splendida scenografia di uno spettacolo che non c’è. Questa è la sensazione della mostra. Lavori sobri, severi, profondi, annegati nello sfarzo.
Poi, magnifico, l’incidente. Ovvero la performance imprevista, VIETATO documentare, le signorine si sbracciano contro il pubblico fotografante mentre mettono l’opera ai ripari. Ebbene sì, un signore grande e grosso, per scattare un selfie inciampa sull’installazione di Kounellis: centinaia di bicchierini pieni di grappa per terra e ne distrugge alcuni.
Eh, se non mettono i cordoni poi la gente ci passa sopra, commentano due sagge madame.
Pochi istanti, nastro bianco e rosso e l’installazione viene ripristinata velocemente.
Come dice Ralph Rugoff, l’arte è fare attenzione.
Marcella Vanzo