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Nello scorso decennio, in una galleria avreste potuto trovare una delle seguenti scene: una stanza vuota eccetto un mucchio di caramelle identiche tra loro, avvolte nella carta, da prendere liberamente; palloni da basket nuovi immersi in una vasca piena d’ acqua; un sedile da sala cinematografica in una scatola. Condizioni, quelle suddette, frutto di una costruzione utopica che hanno definito, ampliandolo, il concetto di scultura della produzione postindustriale, smantellando di fatto la definizione tradizionale di scultura, almeno fino al Minimalismo.
Partendo dal quartetto classico di intaglio, taglio, fusione e costruzione, Arash Radpour, artista iraniano classe 1976, ha mimato i processi artigianali e industriali fondendoli programmaticamente e ricalibrando gli spazi scultorei con un progetto espositivo sorprendente: “Ten Thousand Names”, a cura dell’Architetto Alice Bartoli e con la collaborazione al montaggio di Demetra Radpour. Il titolo della mostra trae origine dal mito antico della Grande Madre. Diecimila nomi rappresentano il tentativo di quantificare le infinite forme e attributi della Grande Dea: Tiamat, Tanit, Astarte, Ishtar, Afrodite o Cibele, la Grande Dea dell’Asia minore, Maria, Amaterasu e altre.
L’artista iraniano, lontano da ciò che ci ha indotto ad aspettare il Minimalismo e il post minimalismo, in opposizione a una mitologia maschilista del lavoro, dà spazio precisamente alle procedure che sono state tradizionalmente squalificate come strane o femminili: organizzare, tagliare, preparare, decorare, dispiegando effetti tattili e visivi nascosti, alternando, in mostra, il linguaggio scultoreo con la pittura e la fotografia.
Arash Radpour, Ten Thousand Names
Una grande installazione tridimensionale, composta da un migliaio di frammenti di vetro color rosso e tenuti insieme da fili, è un utero a grande scala, sospeso nella sala principale della DAFNA Gallery di Danilo Ambrosino e Anna Fresa. La scultura è così inaspettatamente aperta a quella sfera dell’esperienza: la potenza generatrice della donna, portatrice di vita e di dolore. Radpour continua la sua indagine con nove piccole installazioni: otto ovuli smaltati di colore rosso e una nona opera a forma di vagina. Un bozzetto su carta dà il via alla narrazione di una serie di lavori a parete, dove la chiara forma bicorne dell’utero subisce in certi casi piccoli interventi con smalto, sempre di color rosso, in altri vere e proprie superfetazioni scultoree.
Alcuni lavori mostrano l’esperienza spaziale stessa come controllata dagli interessi sociali ed ideologici. Infatti, tre opere soltanto sottendono alla brutale lapidazione delle donne in Iran.
La fotografia di Radpour sconfina nel Nouveau Réalisme, traccia di un esistenzialismo che nasce, vive e muore nel presente.
Danilo Russo
Mostrata visitata il 14 marzo 2019
Dal 14 marzo al 14 maggio 2019
Arash Radpour, Ten Thousand Names
Dafna Gallery
Via Santa Teresa degli Scalzi, 76 – Napoli
Info: info@dafna.it
Orari: dal lunedì al venerdì, dalle 16 alle 20, sabato dalle 10 alle 13