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21
aprile 2015
Ecco a voi il Genio!
Progetti e iniziative
Aperta la mostra delle mostre a Palazzo Reale di Milano. Con prestiti eccezionali e qualche rifiuto che fa male. Specie dall’Italia, che neanche stavolta sa fare sistema
Gli ingredienti per una mostra da record ci sono tutti. Oltre 200 opere da tutto il mondo, tre dipinti dal Louvre e ben 30 disegni dalla Royal Collection della regina Elisabetta II. Prestiti importanti dagli Uffizi, dall’Ambrosiana, dall’Accademia di Venezia (l’Uomo vitruviano, che resta per ragioni conservative solo un mese), persino la prima uscita di uno dei quadri-simbolo del Rinascimento, la celebre Città ideale conservata a Urbino nella Galleria Nazionale delle Marche. App innovative e occhiali supertecnologici per “entrare” nella mente del genio. Un costo finale che supera i 4 milioni di euro. Prenotazioni già alle stelle. E pure qualche polemica.
In effetti si può dire che la mostra “Leonardo 1452-1519. Il disegno del mondo” (fino al 19 luglio), per quanto ambiziosa («la più grande mai realizzata su Leonardo», si legge nel comunicato stampa), abbia raggiunto il difficile obiettivo di mostrare un Leonardo diverso da quello, poco storico e molto agiografico, che il vasto pubblico conosce. Aiuta un allestimento curato ma minimalista, così come la totale mancanza di esaltazione mitografica, retorica e aprioristica di uno che pure è stato tra i più grandi uomini della Storia. A prevalere come linea guida è invece la scelta di indagare il genio vinciano come un “rinnovatore” più che un innovatore, come una mente totale che grazie alla conoscenza enciclopedica del passato ha saputo spremere il massimo da ciò che era già noto, unirlo alle sue favolose scoperte e trasformare questo connubio in un esplosivo mix di realtà, sogno, utopia.
Una mostra, dunque, tutt’altro che “pop”, se con questo termine si intende la replica pedissequa di certezze apoditticamente acquisite anche dal pubblico non specialista e di cliché ormai consunti.
Curata da Pietro C. Marani e da Maria Teresa Fiorio, tra i maggiori studiosi del genio rinascimentale, è il risultato di cinque anni di intenso lavoro, di viaggi nei musei di tutto il mondo, di incontri e confronti. Ma anche di scontri. E di qualche niet. Fuori discussione il prestito della Gioconda dal Louvre che invece ha prestato La Belle Ferronière, l’Annunciazione e il San Giovanni Battista, obiettivo degli organizzatori era avere almeno l’Annunciazione dagli Uffizi. Invece niente. La questione sembrava chiusa, ma in occasione dell’apertura della mostra il presidente di Skira, Massimo Vitta Zelman, ha rimesso il dito nella piaga prima rivelando che «i rapporti internazionali, come spesso accade in Italia, sono stati più semplici di quelli nazionali», poi ribadendo di continuare a ritenere che l’Annunciazione degli Uffizi, a Milano avrebbe dovuto esserci, infine punzecchiando il ministro Franceschini: «Avrei voluto – ha detto – sposasse con meno freddezza la questione». Ma tant’è. Se questo capolavoro non ha lasciato l’Arno (non si poteva lasciar vuota per Expo la sala leonardesca degli Uffizi, aveva lamentato il direttore Antonio Natali!), da Firenze sono arrivate a Milano in prestito per varie mostre ben 28 opere, tra cui la Leda Spiridion, un Botticelli alla sua prima “uscita” (La Fortezza) e un Ghirlandaio (L’Adorazione dei Magi). Può bastare.
Un altro piccolo “giallo” è legato alla già menzionata Città Ideale, attribuita ora a Piero della Francesca, ora al Laurana ora a Francesco di Giorgio Martini, che da Urbino è giunta sotto la Madonnina per restarci solo per quattro settimane e, a quanto pare, all’insaputa di tutti, assessore alla cultura urbinate Vittorio Sgarbi compreso.
La scelta critica della mostra lascia sullo sfondo la biografia per concentrarsi sui grandi temi che hanno caratterizzato l’immensa e poliedrica attività del genio: pittore, architetto, scultore, ingegnere, musicista, poeta e letterato, scenografo ma soprattutto scienziato. A farla da padrone sono la sua bulimia conoscitiva e la sua fantasia visionaria, che gli permettono di spaziare dal disegno al paragone tra le arti, dal confronto con l’antico alla necessità di dare forma ai moti dell’animo, fino a concepire progetti ai limiti delle possibilità umane – volare, camminare sott’acqua –, tesi al superamento di qualsiasi barriera fisica e intellettuale. La materia è ordinata per temi, anche se il fil rouge (e lo indica il sottotitolo) è il disegno, con più di 110 autografi esposti intervallati da sculture a lui attribuite e quadri eccezionali, che dialogano con i lavori di artisti a lui contemporanei: Andrea Verrocchio, Antonello da Messina, Botticelli, Filippino Lippi, Paolo Uccello, Ghirlandaio, Lorenzo di Credi, i Pollaiolo, van Eyck, Della Robbia, il Taccola, Guido da Vigevano, Francesco di Giorgio Martini, Bonaccorso Ghiberti, Giuliano da Sangallo, Bramante.
Al centro, né poteva essere diversamente, si colloca l’esperienza di Leonardo a Milano: qui, presso la corte di Ludovico il Moro, egli soggiornò per oltre un ventennio lasciando una impronta indelebile nell’assetto urbanistico della città, modificandone l’architettura e l’impianto ingegneristico, arricchendola di tesori. Dodici sono le sezioni, l’impianto per ciascuna è – come lo era la mente di Leonardo – multidisciplinare e supera, nel notevolissimo e poderoso catalogo Skira, il piano artistico per raggiungere l’”unità del sapere” leonardesco, coinvolgendo di volta in volta storici della scienza, della tecnologia e del pensiero dell’artista.
Di alcune significative opere, come la Leda Spiridion, si propongono accanto alla tela gli studi preparatori, mostrando come Leonardo attinse dal repertorio iconografico antico innovandolo profondamente con le sue conoscenze acquisite con l’approfondimento degli studi anatomici e dei moti dell’animo, sullo sfondo degli insegnamenti del Verrocchio. Un’intera sezione nella sezione è poi dedicata ai monumenti equestri, che sia per il genio vinciano sia per i suoi contemporanei, come mostrano gli innumerevoli studi, i bronzi a fusione, i disegni esposti, rappresentarono una sfida tecnica, addirittura un’ossessione.
Lo sforzo di realizzare la mostra è caduto interamente su Skira e sul Comune di Milano ed è stato sostenuto grazie al contributo di Bank of America Merrill Lynch. Ma l’esposizione non è tutto. Sono stati previsti percorsi di collegamento con altri luoghi leonardeschi a Milano, in primis la chiesa di Santa Maria delle Grazie che custodisce l’Ultima Cena, il Castello Sforzesco con la Biblioteca Trivulziana e la Sala delle Asse, il Poldi Pezzoli, il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia a lui intitolato e, naturalmente, la Pinacoteca Ambrosiana, considerata la “seconda casa” di Leonardo a Milano. Qui oltretutto è allestita un’altra esposizione di prestigio, anch’essa curata da Marani, che propone fino alla fine di Expo un nucleo di 88 fogli – esposti in due tempi, di tre mesi ciascuno – focalizzati su alcuni aspetti specifici delle indagini multidisciplinari di Leonardo: studi di idraulica, esercitazioni letterarie, architettura e scenografia, meccanica e macchine, ottica e prospettiva, volo meccanico, geometria e matematica, studi sulla Terra e il Cosmo e pittura e scultura. Anche questa esposizione giunge al termine di un pregevolissimo quinquennio di studi e mostre iniziato nel 2009, in occasione del quarto centenario dell’apertura al pubblico dell’Ambrosiana, con l’intento (riuscito) di offrire al pubblico l’opportunità di ammirare quasi integralmente il Codice Atlantico.
Qualche appunto, forse, si può fare sulle ultime due sezioni della mostra, che illustrano l’influenza artistica di Leonardo su allievi e continuatori e la formazione del suo mito. Si tratta infatti di due temi talmente vasti (in particolare il secondo) da non poter certo essere esauriti con l’esposizione (per quanto la sintesi sia d’obbligo) di poche tele. Certo l’incursione nella produzione della bottega di Leonardo e degli artisti che a vario titolo trassero da lui ispirazione, studiando i suoi scritti sulla pittura e le sue opere, è suggestiva e i pezzi scelti sono eloquenti e qualitativamente rilevanti: si va da Marco d’Oggiono a Francesco Galli detto Napoletano, dal Giampietrino al Boltraffio e al Solario. Ma forse si poteva fare di più. Discorso diverso per l’epilogo dedicato al mito di Leonardo, un tema talmente immenso da imporre ai curatori di scegliere e puntare solo sull’icona leonardesca per eccellenza, la Gioconda, esaminando com’è stata vista e interpretata attraverso i secoli. Ma anche così una sola stanza è limitata. Ci sono, in fila, le tre Gioconde del Salaì, di Van der Cleve e del Procaccini, c’è la Donna con la perla di Camille Corot, e, passando per Leonardo che ritrae la Gioconda di Cesare Maccari, si giunge agli esiti di Baj e Warhol fino alla celeberrima Gioconda coi baffi (L.H.O.O.Q.) di Duchamp. Ma che fine ha fatto la pur strombazzatissima Gioconda inedita di Botero (notizia dell’agosto 2014) che, forse un po’ discutibilmente, doveva essere uno dei fiori all’occhiello dell’evento?
Elena Percivaldi
LA MOSTRA SU LEONARDO A PALAZZO REALE…UNA VERA DELUSIONE….PER I LARIANI ?
La mostra su Leonardo, tanto decantata come la più grande mostra mai fatta in Italia sul Vinciano è stata proprio una gran delusione.
L’unica cosa utile e ben fatta è il catalogo nel quale sono presenti molte opere che in mostra non troviamo e vi si decanta una verità più scientifica.
La mostra ha un allestimento vecchio, serioso che non attrae certamente i giovani o i non addetti ai lavori. Gli studenti e le scolaresche rischiano di addormentarsi se non trovano una guida sufficientemente dinamica e che sappia recitare bene la vita e gli aneddoti leonardeschi; come d’altra parte è stato fatto sulle audio guide dove si narra, in modo superficiale, la storia delle opere più che le caratteristiche delle stesse. Non parliamo poi dell’apparato didascalico che è povero e pieno di lacune; basti guardare i disegni: non ve ne è uno in cui sia riportato il numero o la sigla di riferimento del foglio di provenienza, nè se sia esso il recto o il verso.
E’ una mostra che intende mostrare le abilità grafiche del Vinciano e la sua ricerca tecnico scientifica ma di fatto risulta essere incompleta anche sotto questo punto di vista.
Ma la cosa più grave, a mio parere, è che questa mostra distrugge tutta quella scuola leonardesca lombarda che viene qui pressochè ignorata, o mal citata, limitandosi a mostrare soltanto pochissime opere di qualche suo allievo più diretto e forse anche le più brutte o meno significative. Che peccato, un’occasione come l’Expo poteva offrire un arricchimento su Leonardo e la sua scuola per valorizzare maggiormente il territorio.
Il Prof. Marani, nella sua presentazione, a proposito degli unici due disegni di paesaggio presenti in mostra, il primo del 1473 e l’ultimo del diluvio del 1517/18, si limita a farci notare il radicale cambiamento di Leonardo nei confronti della natura nei 50 anni che separano i due disegni.
La mostra è priva dei disegni e degli studi sul paesaggio che hanno ispirato opere di grande rilevanza come la Vergine delle rocce, la Sant’Anna, la Gioconda, la Madonna dei fusi, ecc…
Non ne è presente neppure uno, perché? Dove sono gli studi delle nostre rocce, delle nostre montagne, del Resegone o delle Grigne?
Si è voluto azzerare quella parte veramente importante di Leonardo che lo legava al nostro territorio, perché?
Si è voluto con questa mostra, esaltare soltanto la milanesità di Leonardo appiattendo ogni riferimento col territorio, ignorando anche tutto il contorno di opere straordinarie della sua scuola che esistono nelle nostre province. Si è arrivati ad ignorare anche artisti di grande rilevanza come il Luini, che non è neppure presente in mostra. Una mostra che propone cinque opere pittoriche di Leonardo e per il resto una panoramica piuttosto scolastica dei disegni suddivisi per tematiche….che banalità. Per quanto riguarda la scultura non ne è presente neppure una, anche il cavallino ungherese lascia piuttosto perplessi.
Povero Leonardo, avrebbe potuto diventare con questa mostra un figlio adottivo del nostro territorio e di quella natura che lui ha tanto amato e che è presente nelle sue opere più importanti; quella natura che lui diceva dovesse essere il vero motivo ispiratore per un artista, quella natura che lo ha fatto diventare il vero padre delle scienze naturali….ma dove è finita?
In questa mostra è quasi del tutto ignorata.
Prof. Ernesto Solari
Studioso di Leonardo e del territorio Lariano