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Un’esposizione collettiva dedicata al rapporto tra parola e immagine, “Verbovisioni” ha messo a confronto artisti emergenti dell’Accademia di Belle Arti di Venezia con ex allievi, docenti, ex docenti e maestri affermati legati non occasionalmente alla celebre istituzione (tra i quali anche Luigi Viola e Marotta & Russo), la cui ricerca concettuale verte sul rapporto tra le componenti verbali e visive in arte.
Nella suggestiva cornice del Magazzino del sale 3 (Dorsoduro, Venezia), il verbo è stato indagato nella sua relazione con l’immagine, ma anche nella sua relazione con il corpo, che diviene di volta in volta un ‘corpus’ cartaceo e testuale, come nell’opera di Antonio Guiotto, o un corpo metaforico e sublimato, si veda l’opera di Elisabetta Di Maggio, che intaglia con il bisturi i saponi di Marsiglia per ricavarvi una pianta di Parigi, opera in cui l’elemento sensoriale dell’odore riporta l’osservatore ad una dimensione atavica, che suggerisce la presenza corporale, nonostante il riferimento esplicito agli elementi geo-spaziali tipici del virtuale. O, ancora, si parla di un corpo espressamente fisico. Un corpo ritratto nella sua dimensione più antropologica ed epidermica, in numerose opere che esaltano la dimensione corporea come strumento di comunicazione, suggerendo la pelle come foglio di carta (si vedano anche Bianco-Valente e Laura Keyrouz).
L’idea di ‘mappa’, tipica della contemporanea virtualità, viene esplorata dalla stessa Di Maggio, che lavora su di un altro tipo di mappatura, non più urbana, ma legata alle connessioni neuronali e alle sinapsi: ai capi delle terminazioni disegnate dall’artista vi sono dei versi e delle notazioni poetiche, tracciate concretamente da Andrea Zanzotto, poco prima della sua scomparsa.
Ampia, nel percorso narrativo della mostra, è stata la riflessione sul nesso che collega il binomio visione/parola con i media e con i contemporanei strumenti socialmediatici e di comunicazione di massa. Pensiero questo (o forse preoccupazione?) che si riflette nelle opere di numerosi autori esposti, spesso riprendendo l’elemento del filo rosso (già individuato da Dan Collier nel 2011 nella celebre esposizione “Talk To Me”, al MOMA di New York) come materializzazione del link virtuale, e come rappresentazione di una realtà ‘spalmata’ sulla superficie del web.
Nella creazione del percorso narrativo della mostra, il curatore Riccardo Caldura, già docente di fenomenologia delle arti contemporanee all’accademia, si è ispirato prevalentemente all’ambito della poesia visiva, corrente che dai primi anni ’60 e per tutti gli anni ’70 in Italia ha lavorato lungo le linee di connessione tra parola e immagine, facendosi anche sensibile strumento di riflessione critica volta verso la società, verso l’arte stessa e il suo sistema istituzionalizzato.
La mostra rispetta la promessa di ripercorrere, citando anche le tecniche e gli elementi espressivi individuati dai movimenti del letterismo, della poesia concreta, nonché dalle pratiche e poetiche del movimento Fluxus, la rappresentazioni del binomio parola/immagine, ambiti che di solito giacciono ben distinti, soprattutto in una istituzione per le arti: da una parte le teorie (la storia dell’arte, l’estetica, la fenomenologia) dall’altra parte le pratiche laboratoriali (pittura scultura, grafica).
Chiara Isadora Artico
Verbovisioni
Accademia di Belle arti,
Magazzino del Sale 3
Zattere, Venezia