20 giugno 2019

Danza

 
La danza giovane e internazionale del festival Interplay
Di Giuseppe Distefano

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Con spettacoli tra long e short format di 23 compagnie provenienti da dieci Paesi diversi (dalla Grecia alla Corea, dalla Bosnia ed Erzegovina all’Ungheria, dal Costa Rica al Portogallo), che hanno abitato non solo teatri, ma anche musei, gallerie, blitz metropolitani in centri commerciali e spazi pubblici, il Festival Interplay di Torino diretto da Natalia Casorati, dall’appassionato sguardo di scouting, si conferma anche quest’anno nella sua vocazione di promuovere la giovane danza italiana e internazionale, far conoscere tendenze, individuare percorsi in atto. Tra gli spettacoli visti in due giorni del festival, parliamo di quattro di essi. 
Harleking di Ginevra Panzetti e Enrico Tacconi. È una lunga risata contagiosa. Che ben presto si tramuta in beffa, in satira sferzante. Che ritorna allegra, e di nuovo cambia trasformandosi in burla mostruosa. Ambigua. Sadica. Orrifica. È la metamorfosi di Harleking, l’Arlecchino ibrido, sdoppiato, del duo Ginevra Panzetti e Enrico Tacconi, al quale, nel titolo (Harlequin + king), i due danzatori e coreografi conferiscono il paradosso di farlo diventare un servo re. Spettacolo ispirato alla celebre maschera e all’antica Grottesca, la decorazione muraria che unisce le raffinate volute ornamentali ad elementi figurativi deformi, Harleking racchiude, dello zanni grossolanamente astuto e intrigante o ridicolmente sciocco e burlone della Commedia dell’Arte, fame, sesso, desiderio di ricchezza, e, come nella tradizione, un forte rapporto con il potere. Con le braccia protagoniste principali del movimento ossessivo, reiterato sulla partitura sonora in loop di Demetrio Castellucci, sono sorprendenti i due performer nel costruire un meccanismo coreografico ipnotico, multiplo, perfetto. Nell’articolato minimalismo dei gesti continuamente cangianti; nel mutare delle espressioni facciali in riso, pianto, paura, sberleffo; nella camaleontica trasformazione che avviene occupando a piccoli passi e ampie bracciate lo spazio vuoto, cadendo a terra e risalendo; nell’invenzione di nessi mimetici, tirano fuori un archivio di posture, di linguaggi gestuali, di riferimenti iconografici, comunemente riconoscibili. Muovendosi sempre distanti o appena vicini, attenti l’uno all’altra nella ripetizione sfalsata della loro partitura gestuale, a tratti in sincronia, arriveranno alla violenza prima imitando il braccio alzato che sfuma da pugno chiuso a mano aperta e saluto romano, poi strangolando il partner che s’accascia apparentemente morto. Ritmando l’alzarsi in piedi la coppia tornerà a ridere, facendosi di nuovo beffa di noi. E che risata sia! 
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Harleking di Ginevra Enrico ph DIETER HARTWIG
Brother di Marco Da Silva Ferreira. Caratterizzato da mimica, movimenti reiterati, ritmo ad alto tasso di energia, e da un vocabolario non verbale che intreccia diversi stili di danza prevalentemente urbana – dal folk all’hip-hop al contemporaneo -, è Brother del portoghese Marco Da Silva Ferreira e del suo collettivo. Sette ballerini che danno vita ad una danza tribale, “una sorta di macroanalisi della memoria, dei codici e dei processi di apprendimento e di trasmissione umana”. Dal solo interprete in scena all’ingresso via via degli altri danzatori che riprendono i suoi movimenti, si sviluppa una gestualità febbrile generata da azioni di infinite varianti mantenendo sempre lo stesso ritmo scandito da entrate e uscite con estrosi costumi. Il senso di appartenenza ingenerato racchiude in quel consorzio umano rivalità, forza, fragilità, legami. Che la danza esprime attraverso gli instancabili corpi.
Ultras– Sleeping Dances di Cristina Kristal Rizzo. Il segno di Cristina Kristal Rizzo è sempre vigoroso, sferzante, affilato. Nel suo assolo Ultras– Sleeping Dances lo ritroviamo in tutta la sua forza creatrice e distruttrice, che abita lo spazio e lo trasforma, lo ingloba e lo espande, lo riduce alla sua intimità emotiva e lo moltiplica in visioni. È un segno astratto e umanissimo, che condensa energia e la libera in posture instabili, circolari, avvolgenti, rischiose, per dirci ciò che succede nella vita. Con lo sguardo sempre attento al pubblico attiguo, distribuito nella grande sala della Galleria Noire di Torino, la coreografa e danzatrice ci attira nel suo vortice emotivo, tra inconscio, sogno e realtà, che sfuma dall’euforia al freddo, dalla seduzione allo smarrimento, dalla gioia ludica alla paura, dal riso al pianto, seguendo tracce musicali che lei stessa seleziona accompagnate appena da cambi di costume, parrucca, trucco a vista e alcuni oggetti a terra. Con Ultras Rizzo compone una sorta di playlist dei suoi stati d’animo, del suo mondo interiore, che ha momenti di grande struggimento nel pianto che inscena carico di verità, fino alla danza liberatrice che sembra, e vorremmo, non finire mai. 
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A peso morto di Carlo Massari ph Melissa Ianniel
A peso morto di Carlo Massari. S’innesta di volta in volta in luoghi diversi, mutando effetto, la performance site-specific A peso morto di Carlo Massari, artista sensibile nel raccontare il nostro tempo assetato di umanità. La cerca il personaggio anonimo di una periferia senza tempo e identità. Indossa una inquietante maschera rugosa col volto di un anziano e avanza curvo con due borsoni da spesa in mano. Li lascia a terra, si guarda intorno, cerca altri sguardi, tende le braccia agli astanti, abbozza, da mendicante, qualche gesto di contatto che possa scaldare la sua mano. Una canzone e una musica popolare attivano in lui ricordi del tempo passato, pulsioni felici, memorie inscritte nel corpo che affiorano e lo muovono. Malinconico e sognante, tenero e ironico, vorrebbe ritrovare la stessa forza della giovane età, rivivere emozioni sopite. Ma il suo corpo, improvvisando balli e gesti, crollando e rialzandosi, risponde in maniera disarticolata, distorta, faticosa, stremante. Lo assalirà infine l’oblio, il vuoto fuori e dentro di sé, la cognizione del tempo fuggito, sentendosi comparsa passiva di un luogo che non gli appartiene. Togliendosi l’involucro della maschera e depositando a terra gli abiti, indietreggiando si distaccherà forse dalla sua stessa vita. Con A peso morto Massari fotografa una pietas contemporanea che arriva dritta al cuore.
Giuseppe Distefano

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