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04
giugno 2015
Hannah Arendt, al processo contro Heichmann, rimase sconvolta perché pensava di trovarsi davanti ad un mostro: solo un pazzo sanguinario avrebbe potuto architettare e seguire pedissequamente gli ordini dello sterminio. E invece no: si trovò davanti ad un mediocre, a un burocrate, a un servo del potere talmente sopraffatto da aver perso la coscienza. Ne nacque “La Banalità del male”. Chissà cosa potrà nascere, oggi, se fosse possibile un processo allo Stato Islamico, e ad una serie di intenzioni e azioni che – ormai – sembrano quasi sfuggirci dalla percezione, talmente è forte il loro concretizzarsi bieche e assurde, più vicine alla tortura che alla guerriglia.
Ma soprattutto messe a punto per colpire dal basso la popolazione e la storia inermi di fronte alla violenza.
Stavolta il motivo di questo intervento è la presa della diga sull’Eufrate, a Ramadi, nella regione di Anbar, a est di Baghdad: i miliziani dell’Isis se ne sarebbero impossessati un paio di settimane fa – ma le notizie ufficiali sono arrivate poche ore fa -, con l’intento di limitare (se non di togliere completamente) l’afflusso di acqua in alcune località come Habbaniya e Khaldiya, per costringere la popolazione ad un esodo e quindi di attaccare l’area.
Sembrano storie di altri tempi, se lette da queste parti: storie che rassomigliano a strategie del terrore e dell’orrore da Guerra Santa, roba da medioevo, e invece accadano a quattro ore di volo dall’Italia.
Da Parigi, dove si è riunita la coalizione internazionale anti-Isis (tra i 24 Ministri presenti c’era pure l’italiano Gentiloni) si è detto che i raid dell’Occidente sono risultati inefficaci contro l’avanzata dello Stato Islamico, e che si prevede sarà una “lotta di lunga durata”. E intanto una nuova ecatombe potrebbe profilarsi con l’arrivo dell’estate, e magari tenere banco sui media di tutto l’ovest del mondo.
In fin dei conti sembra stia succedendo proprio questo, ancora una volta, una saga a puntate. Fanta-fiction di un Paese-territorio che nel mondo che “funziona” non sembra esistere, un po’ come la Nigeria di Boko-Haram et similia, nonostante l’Italia non abbia perso tempo a ribadire la “nostra” vicinanza e l’impegno nella protezione dei beni culturali e artistici a rischio e contro il finanziamento dell’Isis grazie al contrabbando di opere d’arte e di beni archeologici. Ma anche questa sembra una storia vecchia, quasi polverosa, nonostante la sua attualità e la sua tragedia. (MB)