Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
La loro storia la conosciamo tutti, e in qualche modo forse sono state le portabandiera della storia contemporanea della censura, di una xenofobia contro quelle forme dell’arte perturbanti, specialmente in alcune società. Ora Nadya Tolokonnikova, esponente delle Pussy Riot, è stata di nuovo arrestata a Mosca dopo una breve performance a sostegno delle detenute ed ex detenute in Russia. Lo ha comunicato lei stessa, attraverso la sua pagina facebook, mentre era ancora in attesa di conoscere le motivazioni dell’arresto avvenuto insieme ad un’altra attivista, Katya Nenasheva. Stavolta l’accusa è di “manifestazione non autorizzata”: le due pare fossero vestite come prigioniere e l’intento dell’azione era quello di cucire una bandiera della Russia. Un episodio che segue di poche ore i lividi di Tania Bruguera, caricata durante una manifestazione a L’Avana e a cui pare sia stato detto di “mollare” l’attivismo se vorrà riavere meno guai e magari anche il proprio passaporto; poi c’è stato il caso di Atena Farghadani, che in Iraq rischia dodici anni di carcere per una vignetta in cui ha ritratto come asini i membri del governo intenti a discutere di politiche famigliari e delle nascite quantomeno arcaiche e non citiamo le vicende di Ai Weiwei, attualmente ancora confinato nella sua Cina (che però ora lo festeggia). Infine, senza scomodarci troppo, l’agguato a Charlie: perché sempre di vignette, dai toni pesanti o meno, si trattava. E allora, ancora una volta, viene da chiedersi davvero quale sia la funzione dell’arte e se sia possibile, e fattibile, nell’epoca del tutto possibile-tutto semplice, tenere alta la barriera dell’indipendenza, delle idee e perché no, anche della protesta. La risposta è si, ma a quale prezzo? Quanto si è disposti a pagare il “disturbo”, e quanto dovremo (e dobbiamo) a queste personalità che lavorano, che lo si voglia o no, anche per la nostra indipendenza e per una cultura libera? (MB)