25 giugno 2015

A cosa serve la morte?

 
Condannato l'attentatore della maratona di Boston, in un ultimo atto che è sembrato una pièce teatrale, con tanto di citazione di Shakespeare. Ma può avere senso, oggi, una strana legge del taglione in un Paese “civile”?

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Pena capitale. C’è chi la inneggia, chi la teme, chi semplicemente pensa non serva a nulla. E in effetti, gli Stati Uniti e le sue giurisdizioni, sono pieni di casi borderline, dove la soluzione finale rappresenta l’ultimo accanimento terapeutico di un programma-condanna che non recupera, che non concede grazie, e che forse porta solo al pentimento della disperazione e non della redenzione.
A che servirà la morte di Dzhokhar Tsarnaev, il giovanissimo attentatore che nel 2013 fece esplodere un ordigno a pochi metri dalla fine del percorso della maratona di Boston? A chi darà giustizia? Alle vittime e alle loro famiglie? Difficile crederlo. Così come sarà difficile credere che troveranno “pace” i compagni delle vittime della chiesa nera di Charleston. 
La morte metterà in buona luce il Paese tutto, la grande America, sui temi di sicurezza, di velocità nel sistema giudiziario? Anche questo è difficile credere, come ormai sembra impossibile credere che la punizione esemplare sia davvero tale, con il suo abisso di differenza tra l’innocentismo, e l’impunità, italiane.
Eppure oggi risulta quasi incomprensibile, specialmente di fronte alle idee di rieducazione, riabilitazione, di una rimessa in gioco di quelle “anime perse” che anche un “idolo nazionalpopolare” come Papa Francesco predica da un lato all’altro del pianeta, come sia possibile agganciare le parole morte e giustizia. Certo, la sentenza sarà automaticamente appellata e nessuno sminuisce il crimine, nessuno nega che Tsarnaev, dopo il fratello ucciso durante la fuga, debba pagare la sua parte. Quello che, ancora una volta, si dovrebbe discutere, è il concetto di occhio per occhio dente per dente. 
Porgi l’altra guancia? Nemmeno, mai in questi casi. Men che meno un’ipotetica richiesta di “perdono” (che non c’è stata) e le scuse pronunciate, dopo due anni, negli unici minuti in cui il ragazzo di origine russa ha parlato in tribunale: «Mi dispiace per aver provocato morte, sofferenza e danni irreparabili. Prego affinché possiate avere sollievo e per la vostra guarigione».
Facile, come è facile citare Shakespeare: «Gli atti diabolici compiuti dagli uomini, li seguiranno anche dopo la loro morte», ha riportato in maniera karmica il giudice George O’Toole. Un bel colpo di teatro, ma come sarà la forma della giustizia di domani? Bisognerebbe iniziare a chiederselo, di fronte al serpeggiare della vendetta. (MB)

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