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Fino al 30.XI.2002 Il mito di Ganimede prima e dopo Michelangelo Firenze, Casa Buonarroti
toscana
Il mito del bellissimo figlio di Troo, rapito da Zeus in forma di aquila per farne il coppiere degli immortali, conosce nel corso dei secoli una fortuna oscillante, tanto letteraria quanto iconografica, fino alla straordinaria invenzione di Michelangelo...
Il gusto e la morale dominante delle diverse epoche hanno rinvenuto nel semplice intreccio tramandato da Omero le implicazioni e i significati sottesi più diversi: il volo di Ganimede verso le olimpiche dimore è stato visto ora come prova dell’immoralità degli dei falsi e bugiardi, ora come metafora dell’iter mentis in Deum e di rapimento mistico né, d’altro canto, sono mancate le interpretazioni più puntualmente erotiche al di là di qualsiasi giudizio etico.
Quando Michelangelo, nel 1532, dona a Tommaso de’ Cavalieri una coppia di disegni, raffiguranti il ratto di Ganimede e la punizione di Tizio, doveva avere ben presente la molteplicità delle implicazioni morali e filosofiche contenute nei soggetti rappresentati. La stessa composizione ideata dal Buonarroti sembra voler operare una colta reductio ad unum, dei tanti risvolti impliciti nel mito.
Nel disegno a carboncino del Fogg Art Museum i corpi del fanciullo e del rapace sono avvinti l’uno all’altro, il flessuoso collo dell’aquila posto sul cuore del rapito, le braccia di quest’ultimo aperte a croce e distese sulle ali del rapitore. L’aquila, vigorosa e imponente, sembra perdere parte della sua ferinità mentre il volto di Ganimede appare ammaliato e sognante, le membra abbandonate senza resistenza ad una volontà superiore. In basso, appena tratteggiata, si intravede la scena della caccia interrotta con i cani e gli attrezzi abbandonati.
L’abbinamento con il disegno raffigurante la punizione di Tizio esplicita la natura della rappresentazione, di matrice chiaramente neoplatonica, che Michelangelo veicola con l’espediente del mito: la doppia natura del sentimento amoroso, l’agonia di chi soffre le pene d’amore e la beatitudine che lo stesso amore può portare all’anima.
Dal punto di vista formale l’invenzione michelangiolesca risulta del tutto inedita rispetto alle precedenti interpretazioni classiche, medioevali e protorinascimentali. La straordinaria fortuna che questa composizione ha nei secoli successivi (solo in parte giustificabile con la paternità del maestro) ne è la dimostrazione.
La piccola e bellissima mostra della Casa Buonarroti raccoglie una trentina di opere che, dall’antichità greca e romana al neoclassicismo di Mengs, convergono verso il disegno del Buonarroti.
L’esposizione, attraverso una ponderata scelta delle opere, illustra in modo esauriente le diverse interpretazioni del mito “prima di Michelangelo”: dai vasi a figure rosse del V secolo a.C. alle xilografie del tardo umanesimo. La comparsa del disegno di Michelangelo produce una cesura, ben documentata in mostra, con la quale ogni artista impegnato nella rappresentazione del mito deve inevitabilmente fare i conti. La seconda parte del percorso espositivo raduna alcuni capolavori che testimoniano ampiamente la diffusione dell’influenza michelangiolesca. In mostra sono presenti, oltre alla succitata Punizione di Tizio e ad altri autografi di Michelangelo, molte copie del disegno originale, a matita, tempera, olio e bulino; seguono alcuni esempi di variazioni sul tema, da Parmigianino a Tiepolo, dal Tribolo a Mengs.
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Fino al 30.XI.2002
Il mito di Ganimede prima e dopo Michelangelo
Firenze, Casa Buonarroti, via Ghibellina 70
Orario: 9.30-16.00, chiuso il martedì
Ingresso: L. 6.50, ridotto L. 4.00, scuole L. 3.25
Catalogo: Mandragora, Firenze, Euro 20.00
Informazioni: Tel. 055 241752, e-mail: ente@casabuonarroti.it, web: www.casabuonarroti.it.
Ufficio stampa: Cooperativa Servizi Culturali Sigma, tel. 055 2340742, e-mail: cscsigma@tin.it
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