07 agosto 2015

Arte di frontiera. Vecchi e nuovi valori

 
La tragica morte del giovane writer investito dal treno in transito mentre dipingeva un vagone riaccende le polemiche, e anche le domande: dove e come si colloca il graffitismo oggi? Ancora è arte “pericolosa”, di frontiera, o deve vivere dell'attuale dimensione “domestica” e ufficiale?

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Probabilmente, le risposte, sono multiple, a seconda della prospettiva che si sceglie. Criticamente l’arte di frontiera, come l’aveva definita Francesca Alinovi, doveva (e deve) essere un urlo contro lo status quo, elaborando il presente, il quotidiano, con tutti i suoi elementi bassi e alti. Affermazione d’indipendenza, un po’ come forse voleva essere quella di Edoardo Baccin, ventenne di Somma Lombardo: travolto mentre stava dipingendo un convoglio, investito da un treno merci in transito.
Ovviamente ora si parla di tragedie annunciate, di vandalismo, si invocano “muri appositi” su cui far dipingere i giovani, dimenticando tutto quello che rappresenta il writing nella sua vita originale: la volontà di lasciare una traccia, seguendo anche la possibilità “illegale” di scavalcare territori vietati, scomodi e, appunto, generativi di un modus operandi vecchio di millenni che in Italia, ancor prima dell’Alinovi, aveva mappato il grande Franco Vaccari nel libro fotografico “Le Tracce” del 1964.
Ne aveva dato una splendida lettura Adriano Spatola, definendo i segni dell’uomo un “radicale bisogno”. Il bisogno di scrivere “è natura complessa, atemporale eppure indubitamente storica, in perpetua metamorfosi, e tocchiamo con mano i sedimenti che questa inesausta agitazione molecolare lascia”. 
Non ci interessano particolarmente le modalità della cronaca nera, né tantomeno difendere a spada tratta l’attività dei giovani che colorano treni o muri “non autorizzati”. 
Ma si sa, la voglia di ribellione, di segnare, di trovare una collocazione nel mondo, di raccontarsi e mettere a fuoco l’io spesso non passa dai canali “dolci” dei contest che hanno riempito le periferie italiane di street art come attività sociale, trasformando l’antico grido in una carezza temporanea. 
Oggi, come è sempre stato, con modalità diverse e con un segno che spesso risulta anche sbiadito rispetto alle manifestazioni scintillanti di decenni fa (ma questo è, probabilmente, la scrittura visibile che viene proiettata dall’inconscio del nostro tempo-sociale) qualcuno colorerà fuori dalle righe. Giustamente, e per fortuna. 
Il Codacons ha denunciato invece le istituzioni “Che non hanno saputo affrontare e combattere il fenomeno dei writer, lasciando loro carta bianca e la facoltà di mettere in pericolo la propria incolumità. Non è ammissibile che questi artisti continuino ad imbrattare beni pubblici rischiando la propria pelle ed arrecando oltretutto un danno alla collettività”. Giusto, non è possibile morire mentre si cerca di raccontare sé stessi, di mettersi al mondo. Ma, guardando oltre la morte del giovane, più universalmente, l’arte è ancora pericolosa, specialmente quando tocca il presente e i nostri nervi. Da un treno, o attraverso altre parole in grado di raccontare la vita, e non solo di addolcire il brutto. (MB)

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