15 settembre 2015

Il rispetto naufragato. Nel mare di Milano

 
Parliamo di Milano, visto che in questi mesi è stata in gran spolvero per Expo, con un settembre che - all'Esposizione Universale - sta segnando ingressi record. Ma che succede se alcuni luoghi della città si snaturano? Bisogna ancora guardare al mero profitto, all'idea di luna park, ad una "massima resa con minima spesa"?

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Le polemiche corrono sul filo dell’acqua. Quella di una darsena abbandonata per anni, e ora pedonalizzata e risistemata in quella “Milano che sale”, e che è abbondantemente salita grazie alla febbre di Expo. 
Era inevitabile che, prima o poi, qualcuno facesse caso all’aria che si respira da queste parti. Anzi, che non si respira, perché la folla è talmente vasta che alle volte, e non è una rarità, è anche difficile passare semplicemente a piedi. 
Sempre a lamentarci? No, a lamentarsi sono stati gli abitanti dell’area, zona sud del centro storico, che da qualche mese non vivono più per il continuo rumore, e per una specie di degrado latente, quello che porta il bivacco e il passaggio di migliaia di umani (quindicimila in media ogni sera della settimana), con punte che non si possono contare, come in quella che è stata la notte-flop delle lanterne di carta che non hanno volato dove pare all’appello rispondessero 80mila presenze. 
Quel che è certo, è che milanesi e non stanno dimostrando di apprezzare non poco l’area pedonale (completamente priva di verde) e le nuove sponde del bacino, da anni e anni chiuso e restituito alla città la scorsa primavera. 
Eppure qualcosa stona: sono gli schermi-cinema, le chiocciole Cracking Art utilizzate per qualsiasi scopo, e un’umanità in cerca di un luogo dove, in qualche modo, ci si possa liberare quasi gratuitamente delle costrizioni cittadine pur restando nel cuore della metropoli. Un’area che, insomma, funziona come un “Central Park” ma di cemento. 
E mentre il Comune annuncia euforico l’intenzione di affidare la gestione della zona alla stessa società che “cura” i Navigli, le associazioni sono sul piede di guerra, perché il controllo della situazione pare ormai disperso. 
Colpa di una gentrificazione di un luogo che, in realtà, una sua identità l’aveva eccome, ma che è stato trasformato in teatro per una festa continua. 
Eppure, c’è chi non rimpiange il “mortorio” (che in realtà sui Navigli non c’è mai stato): è il Presidente di zona, Gabriele Rabaiotti, che dalle pagine del Corriere spiega: «Non esiste una città di soli residenti. Chi non vuole questa vitalità farebbe meglio ad andarsene, anche perché qui si vende bene, e questo è il “pro” implicito nel processo di trasformazione».
Et voilà, les yeux sont faits! Quindi sono giusti i cartelli spuntati fuori “Svendesi Darsena”. 
Sembra un fatto di provincia, e invece anche stavolta qualcosa ha a che fare col costume e la storia, prima ancora che con gli affari. E quanto è corretto, ci chiediamo, dover rinunciare a una parte di città o involgarirla per trarne un alto profitto, ma di bassa lega? Sembravano atteggiamenti da “sviluppo” del vecchio secolo, e invece tutto resiste immutato. In barba al “Nutrire il pianeta”, ma togliendo energie a un’intera area, e forse a lungo termine, spopolandola. Fino alla prossima festa. (MB)

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