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C’era chi aveva messo il “Bisogna sabotare la TAV” di Erri De Luca sullo stesso piano de “Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è un terùn”, di Umberto Bossi. Reati di opinione. Se poteva esserlo, poteva essere solo l’affermazione di De Luca, l’altra un insulto. Fine.
E invece De Luca, per fortuna, è stato assolto per mancanza di reato, e in aula ha ribadito quella frase scomoda che gli sarebbe potuta costare otto mesi in gattabuia.
Un esempio in cui il linguaggio viene travisato, storpiato, caricato di un significante improprio; come se sabotare avesse significato piazzare bombe a destra e a manca. Può piacere o non piacere la contestazione, ma è indice di libertà e, come ha riportato anche la Corte torinese, “c’è un limite alla repressione”.
Secondo i legali di De Luca la sentenza è «dimostrazione che non avremmo dovuto essere qui, che questo processo non andava fatto, e riporta le cose al giusto posto». Lo scrittore, dal canto suo, non poteva che essere onesto intellettualmente e ribadire che continuerà ad avere le sue opinioni e a divulgarle. Come giusto che sia. «Anche se non fossi io lo scrittore incriminato sarei comunque qui dove si sta compiendo un esperimento, un tentativo di mettere a tacere parole contrarie», ha affermato De Luca dopo la sentenza. Che le parole contrarie abbiano, invece, lunga vita. E che non vengano paragonate agli insulti, anche se per questa versione dobbiamo auspicare nell’intelligenza dell’uditorio. (MB)