23 ottobre 2015

Hugo Boss per il sociale

 
Si tratta di uno dei premi per gli artisti più blasonati al mondo, ed è dedicato a chi pratica l'arte più "innovativa". E per questa edizione a farla da padrone sono performance e attivismo. Segno che l'arte, oggi più che mai, è politica?

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L’Hugo Boss Prize, democratico premio che non conta nazionalità, età anagrafica o medium espressivo, dal 1996 ha visto sugli scudi personalità già affermate, e influenti, nel mondo del contemporaneo o altri, spesso più giovani, che hanno avuto spinte in avanti nella carriera. E non è un caso, visto che tra le “offerte” vi è una borsa di 100mila dollari e una mostra al Guggenheim di New York.
Quel che è certo, però, è che mai come quest’anno i sei finalisti hanno un lavoro che consta di azioni, performance e attività dal vivo che sondano limiti politici, geografici, che parlano di problemi sociali e temi scottanti. 
Tania Bruguera, che non ha bisogno di presentazioni, il britannico videomaker Mark Leckey, la coreografa americana Ralph Lemon, la pittrice Laura Owens, l’artista concettuale egiziano Wael Shawky e Anicka Yi, artista sudamericana, sono i selezionati.
Con una sfumatura, dunque, sempre più labile tra quello che è “il palcoscenico”, l’azione, e l’arte visiva tout court. 
«Il Premio Hugo Boss ci ha dato l’opportunità di identificare e premiare gli artisti che hanno un impatto duraturo sul paesaggio contemporaneo dell’arte», è stata la dichiarazione del curatore capo del Guggenheim, Nancy Spector. E che dunque, l’impatto forte sul paesaggio dell’arte contemporaneo, sia davvero la politica, e non più una forte poetica? Questa shortlist lo dimostra, e non si può dire certo che il contest metta in scena le pretese di qualche illustre sconosciuto. Vedremo dove penderà l’ago della bilancia, anche se questo inizio dà una chiave ben precisa. (MB)

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