28 ottobre 2015

LA LAVAGNA

 
Continuando a farci del male: ovvero la situazione delle Accademie italiane.
di Paolo Aita

di

Chi si pone delle domande sul destino delle Accademie italiane sarebbe deluso dai dati della conferenza dei direttori svoltosi presso l’Accademia di belle Arti di via Ripetta a Roma, il 26 ottobre. In questo incontro, dove si sono confrontati i rappresentanti delle venti Accademie italiane, è apparso un quadro piuttosto sconfortante: i nostri amministratori si confermano inabili a riconoscere le prerogative, le delicatezze, ma anche i proventi e il prestigio che il comparto dell’arte produce in Italia. Venendo ai fatti, la legge 508, che uniforma il titolo finale delle Accademie con la laurea, non è mai stata considerata in tutte le sue conseguenze: la legge parla di equipollenza e non di identità dei titoli finali, dando quindi accessibilità ai concorsi pubblici, come se si fosse in possesso di una laurea, ma non in altri contesti. A complicare l’insieme interviene il provvedimento del 17 settembre che accorperebbe il personale delle Accademie alle scuole medie, provvedimento che penalizza il personale docente, ma anche gli studenti che avrebbero per insegnanti professori di  scuola media. A rendere il tutto ancor più traballante ci sarebbe la sindacalizzazione dei contratti di lavoro (mentre orario, remunerazione ecc. nelle Università sono lasciati a organismi interni e autonomi). A tutto ciò si aggiunge la questione del cattivo funzionamento dell’AFAM, la cui attività è compromessa dalla compresenza dei Conservatori musicali, di cui la normativa italiana fa un calderone unico unendone i destini con le Accademie.     
Sei ore di incontro pubblico confermano il sostanziale disinteresse, forse anche disprezzo, per il comparto delle Accademie da parte dello Stato; come se queste, producendo “solo” arte, attività da sognatori, risolvessero la loro esistenza e attività in un limbo autonomo ed autosufficiente. Questo pregiudizio è antico. Non quanto la divisione tra arti del trivio e del quadrivio, che è medievale; in ogni caso, secondo me, viene da lontano, almeno da Croce. Svalutando le occupazioni tecniche (le arti), di fronte alle teoriche (la filosofia e la teologia), l’Italia ha assegnato una superiorità alla letteratura, meglio considerata dell’arte, e alla storia, considerata superiore alla pratica. In conseguenza di ciò siamo il Paese degli autogol: le scuole relative alla moda, all’alimentazione e all’arte, che ci sostentano economicamente, sono quelle di più recente costituzione e organizzazione. Chi scrive ha dovuto “violentare” il suo piano di studi che prevedeva 21 esami di italiano, latino e greco, per inserirci, invece, 17 esami di arte, ed avere così una congrua specializzazione in materie artistiche. Ma la mia laurea, del 1983, è ancora in lettere, nonostante nei 21 esami totali di questa materia abbia sostenuto solo 2 esami! Come se a voler studiare la storia dell’arte ci si dovesse sentire inferiori! 
Un momento della conferenza dei Direttori delle Accademie del 2
E se si confessa di amare la bellezza, proprio in Italia, facilmente si generano dei sensi di colpa, come se si fosse dei debosciati o dei vani esteti. Per fortuna intervengono Hans-Georg Gadamer e François Cheng, filosofi, da notare, non storici dell’arte. Il primo scrive che la festa, cioè la comunicazione e la bellezza, sono momenti fondamentali in ogni società e in ogni equilibrio psichico. Il secondo scrive che la sensazione di appartenenza possiamo sentirla solo a Venezia e nelle patrie del bello, dove la nostra esistenza trova un senso. A questo punto devo aggiungere Franco Cassano, il quale scrive che la componente estetica è consustanziale alle civiltà del Mediterraneo. Noi siamo impastati di bellezza, e ciò ha tuttora riscontro. Sembra di dire cose ovvie. Non occorre l’inizio del film di Sorrentino per esplicitare il forte turbamento che prende i turisti una volta che attraversano le Alpi. Gran parte della bellezza del “Bel Paese” è frutto dell’arte, oggi delle Accademie, che hanno il compito di gestire la parte culturale di tale scomoda eredità, rendendola didattica. Non vorrei ammettere che occorra per forza diventare artisti per comprendere che questo comparto è di vitale importanza per l’Italia, facendo così eco a chi in Italia viene per imparare la bellezza…         
Paolo Aita 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui