12 novembre 2015

La Street Church del Papa. E il museo?

 
Libero, visionario, più avanti di tanti. Ma su un punto Bergoglio è incredibilmente indietro.
È l'ora che qualcuno lo aggiorni

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Papa Francesco ci piace, e come potrebbe essere altrimenti? Parla di “inquietudine”, affermando di volere una «Chiesa inquieta” e di preferirla “accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade», piuttosto che essere rimasta chiusa nelle sue torri d’avorio. Una Street Church, insomma, decentrata, magari insicura, ma aperta. E non “ossessionata dal potere”. Dice anche che la Chiesa deve avere il “volto della madre”. Se poco poco aggiungesse l’aggettivo Grande (Grande Madre), sarebbe pure molto up to date con quanto è accaduto recentemente a Milano. In piena sintonia, insomma, con quanto anche noi del mondo dell’arte, e nel nostro modo magari un po’ maldestro e non sempre cristallino, facciamo e professiamo. 
Molto in linea anche quando tuona contro “i centri di potere ideologici, finanziari, politici”, altra cosa che riguarda parecchio il mondo dell’arte, dove questi poteri, specie quelli finanziari e politici, sono sempre più invadenti. 
E, poi visto che l’ultima tappa di Bergoglio è stata Firenze, possiamo unirci al lessico toscano e dire che Papa Francesco è proprio ganzo, con i selfie, i pranzi alla mensa della Caritas, il bagno di folla, di baci, sorrisi, abbracci.  
Però, c’è un però. Ogni volta che Papa Francesco se la prende con la chiesa arroccata nelle sue certezze, cita il museo. Sì, proprio il museo, strana metafora. E qui non lo seguiamo più: «Le chiese, le parrocchie, le istituzioni con le porte chiuse non si devono chiamare chiese, si devono chiamare musei!», ha detto il 10 settembre scorso dal balcone di piazza san Pietro. E non basta, due giorni fa a Firenze ha rincarato, definendo la nazione come «opera collettiva in permanente costruzione in cui sono da mettere in comune proprio le cose che differenziano» (altra cosa ganzissima), precisando però che una tale «nazione non è un museo».
Caspita! Bisogna che un Papa simile si cerchi consiglieri un po’ più svegli. Che qualcuno gli spieghi che il museo non fa più rima con mausoleo, come pensava Adorno. Il ministro Franceschini, per esempio, con la sua faccia perbene, potrebbe essere la persona giusta? Chiunque sia, gli si deve dire che è tutta un’altra cosa. E non è necessario che vada in tour a Bilbao per vedere che il museo di cui lui parla è diventato una macchina delle meraviglie, che più sono belle e attraenti e più richiamano folle (mentre le chiese si vuotano, le domeniche al museo …). Basta che si faccia un giro a Milano, tra HangarBicocca e Fondazione Prada per vedere che cosa è oggi un luogo dell’arte. Oppure, visto che è a Roma, basta che un pomeriggio faccia un pellegrinaggio al MAXXI. Incontrando magari Hou Hanru e il suo staff che gli fanno vedere che un museo – guarda caso proprio oggi – ospita i “Transformer”. Che insomma anche il museo ce la mette tutta per aprirsi, anche all’imprevisto, per far vivere quel cambiamento che gli sta tanto a cuore. 
Cari amici del mondo dell’arte, chi è il primo a battere un colpo ai cinquanta metri quadrati di casa Bergoglio?

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