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20
novembre 2015
La memoria dell’arte
Il fatto
Si parla "dell'arte sempre contemporanea", ma qual è il punto più profondo dell'incontro con la creazione se l'opera scompare o, quando accade, travalica il tempo? Nella memoria. Il dispositivo del cervello umano si accende alla Tate di Liverpool, finché sarà possibile ricordare. Pensando a Parigi
di redazione
Anno 2052. Non è un caso che, come vi abbiamo raccontato la scorsa settimana, anche la mostra di Dominique Gonzalez Foerster al Centre Pompidou arrivi fino a quell’anno. A qualche centinaio di chilometri di distanza, Liverpool, si sperimenta la stessa data come epoca della reale fine dell’arte, ovvero della sua “fuoriuscita” dalla memoria.
E quando l’arte si dimentica, forse come tutte le cose, ha smesso di esistere.
Non è un caso che l’arte si scriva, si comunichi, si documenti, si tramandi quasi “empiricamente”, visto che non sempre è possibile vederne tutte le prove e ci si accontenta di leggerne. Ma che succede, dunque, a Liverpool?
Che la mostra “An Imagined Museum”, tema caro a molti collezionisti per esempio, in scena da oggi al museo britannico, partendo dal film di Chris Marker La Jetée, che nel 1962 già mostrava un attacco a Parigi visto dagli occhi di un uomo che ricorderà per sempre l’istante in cui viene uccisa l’amante, mostra come una serie di ipotetici curatori abbiano raccolto “oggetti particolari” dal Centre Pompidou o dal Museum für Moderne Kunst di Francoforte e dalla Tate: un armadio magico di ricordi, nell’anno 2052.
Un armadio che ha conservato, appunto, la memoria, mentre la civiltà intorno (ancora Parigi) è in guerra ed è bruciata, e dunque ricordare è la sola azione che possa decretare la salvezza per l’arte, sia che si guardi un’opera per pochi secondi, sia per tutta la durata di un film.
La capacità di “propagarla” sta a noi, e ovviamente alcuni nomi sono stati chiamati a fare da testimoni: Rachel Whiteread, Louise Bourgeois, Dorothea Tanning, Alina Szapocznikow, August Sander, Isa Genzken e anche Matisse che dipinge André Derain. Potrebbe essere l’ultima cosa che si vedrà, quando voleranno nuovi proiettili, se Chris Marker fosse l’ultimo dei nostri profeti. Troppo avanti? Pensateci, la memoria vi aiuterà. E forse grazie ad essa potremmo sperare di poter “far andare avanti” il mondo qualche anno in più rispetto ai prossimi trenta, circa. (MB)