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29
dicembre 2015
Fino al 12.I.2016 Fabrizio Bellomo, Senza Titolo Galleria Rossana Ciocca, Milano
altrecittà
Nigeriane, albanesi, rumeni, tunisini fanno rima con prostitute, immigrati, spacciatori, pregiudicati, clandestini. Semplice vero? E falso. Ma allora perché alcune etnie hanno la stessa faccia della malavita, o la rappresentano? Provate a chiederlo a Google Images, come ha semplicemente fatto Fabrizio Bellomo (Bari, 1982) in un progetto fotografico, intitolato Screenshoot, in mostra a Milano alla Galleria Rossana Ciocca. Semplici frame, in una disposizione a dir poco sintetica, dove le foto segnaletiche o di cronaca si mostrano identiche a quelle di identità. Potere dei media, nel promulgare e stratificare una serie di stereotipi razzisti nati dalla cronaca nera, dove a stupri, rapine, omicidi, violenze, attività illecite e chi più ne ha più ne metta, sono state associate ancor prima dei nomi dei diretti colpevoli, le loro nazionalità. La differenza, così, si appiana e il motore di ricerca si inceppa, visto che non cerca proprio più nulla ma rende visibile il proverbio del “fare di tutta l’erba un fascio”.
E ad un altro proverbio Bellomo rende corpo tramite un video, nella seconda sala della galleria. Sembra piuttosto slegato alla prima indagine quasi lombrosiana o riferente agli studi criminologici di Alphonse Bertillon dei primi anni del ‘900, e invece alcuni tratti sono in comune con le fotografie raccolte da Google.
Per esempio siamo in Albania, più precisamente a Tirana, agli angoli di una rotonda. Che cosa avviene in scena? Qui, ogni giorno, decine di uomini si mettono “in vendita” con il loro strumento di lavoro: martelli pneumatici, fresatrici, trapani. Ognuno attende di essere rimorchiato (come una “nigeriana”, n’est pas?) per poter far fruttare la propria professionalità. Realizzato grazie al contributo di GAI-Movin’Up e al supporto di Fujimfilm e Tirana Art Lab, l’opera è nata dal proverbio albanese VEGLA BËN USTAIN, ovvero “Lo strumento fa il maestro” o, in un’altra versione, il mezzo con cui lavoriamo predomina sulle nostre vite, e dà forma alla nostra esistenza, specialmente materiale. Una condizione che ci riporta anche all’intervento che nel 2012 Bellomo realizzò, su commissione del MUFOCO, al Carroponte di Sesto San Giovanni: un’istallazione che mostrava l’ingrandimento di una targa ritrovata a Bari in una ex acciaieria e che riportava l’aforisma: “Abbi cura della macchina su cui lavori, è il tuo pane”. Un circolo vizioso tra identità, che a Tirana Bellomo tenta di spezzare decontestualizzando il lavoro: l’artista incarica un operaio-martello pneumatico di scrivere proprio VEGLA BËN USTAIN sulla facciata di edificio nei pressi della rotonda-ufficio di collocamento. Un’azione (con retribuzione per il Mastro) che diviene opera pubblica, lontana da qualsiasi funzione edile o affine, ma ritratto dell’umanità in (s)vendita.
Matteo Bergamini
Dal 28 ottobre 2015 al 12 gennaio 2016
Fabrizio Bellomo, Senza Titolo
a cura di Francesca Guerisoli
Galleria Rossana Ciocca
Via Lecco 15, 20124 Milano
Orari: Dal lunedì al venerdì dalle 14.30 alle 18.30 o su appuntamento