02 febbraio 2016

Avere trent’anni

 
E viverli tra passione e caos. Festeggiamenti in mostra per un anniversario importante a Villa Croce. Il museo fronte mare che, nonostante tutto, continua a navigare a vista

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Buon compleanno Villa Croce! Goditi la festa, e non dar conto a chi potrebbe rovinartela sghignazzando su un trentennale minato dal rischio chiusura. Vabbè, che poi a tu per tu con Anna Lovecchio (junior curator del museo e co-curatrice della mostra “VX 30 – Chaotic passion”) quel rischio pare sia tutt’ora in corso, con un museo sempre alla mercé di bilanci da approvare e budget risicati che incanalano le scelte espositive su binari fissi. Il film ha ormai la pellicola consumata, il titolo scelto “Un museo saldamente in bilico”; è proiettato in un’Italia dove per la produzione cinematografica negli anni sono stati elargiti soldi a fondo perduto (a prescindere dal valore/ritorno economico) dal Ministero dei Beni Culturali, i cinepanettoni sono più insindacabili delle feste comandate, e chi fa cultura operando nell’arte contemporanea deve vivere sperando di brindare all’anno nuovo. 
Però i trenta sono i trenta, poi «Villa Croce è al secondo posto in Italia, davanti a lei c’è solo il Castello di Rivoli, che di anni ne ha trentuno», dice fieramente Lovecchio. Per come stanno le cose non ci sarà da sfoderare lingue di Menelik e cotillon, ma visto che il party planning non manca si dia via libera ai festeggiamenti. È qui la festa, aperta fino al 27 marzo 2016. E i difetti endemici non sono invitati. 
Si, facciamo gli italiani “renziani”, cancelliamo i problemi e – facendo un bel training autogeno – pensiamo che sia tutto ok. Coscienti come Lovecchio che Villa Croce «non è o vuole essere il Castello di Rivoli», causa anche una certa perifericità urbana (difficilmente sanabile) e nazionale (eh, su questa si potrebbe lavorare, ma i soldi chi ce li mette?). La volontà è stata documentata negli ultimi anni con mostre ed eventi. Idee “alla Villa Croce”, ovvero semplici e non banali, da sfoderare quando fuori sono tempi da lupi e i curatori sono costretti a cercare delle scappatoie. In “VX 30 – Chaotic passion” Lovecchio insieme a Chan (una delle realtà private più effervescenti a Genova in tema di giovane ricerca artistico-espressiva) hanno puntato su nomi storicizzati della collezione permanente e contemporanei nella fascia d’età venti-quaranta. Una scelta di comodo che ha risvolti interessanti. 
Alice Guareschi – As still as the sea could be – 2015 – acciaio inox smaltato – courtesy l'artista – photo Nuvola Ravera
Creare un buon prodotto, soprattutto in casi dove il tetris generazionale rischia il collasso, non è facile. E anche se la mannaia del budget taglia a pezzi la possibilità di realizzazioni create ad hoc, «ipotesi accattivante, ma mai realmente presa in considerazione a causa dei fondi a disposizione» chiosa Lovecchio, c’è sempre il premio (o l’opera) di consolazione dell’unico site specific, a firma di Alice Guareschi. Posizionato en plein air, il suo As still as sea could be è un totem verbale inserito tra le fronde del parco che mette in correlazione riflessione, parola e contesto, accomunando due soggetti – il mare e l’uomo – al medesimo stato di “calma apparente”. Le disquisizioni sull’ossimoro interno alla frase le lasciamo ad altri, e ribattiamo alla Guareschi con la vulgata de “l’acqua cheta che poi rompe i ponti”, quando un linguaggio volgare (in senso vernacolare, non del significato negativo che la parola ha assunto nel tempo) è quel lusso che l’art system gestisce a malavoglia. Pur se alla fine l’unico a produrre una piacevole sensazione di partecipazione/comprensione collettiva. Il parco di Villa Croce dà il suo contributo, e fa un po’ tenerezza accorgersi che, tra una corsa e l’altra, pure dei ragazzini s’interrogano sul senso di quelle tre telegrafiche righe. 
A partire da Guareschi l’intera mostra affronta le due direttive – parallele ed intersecanti – dell’astrattismo e della ricerca verbo-visiva, senza tentar d’essere una celebrazione di cari (artisti) estinti. Al contrario, a guidare i curatori è la volontà di «creare situazioni d’incontro», dichiara  Lovecchio, creando una reciproca e libera comunicazione tra presente e passato (e viceversa). Non ci sono cattedratici, ma una collezione permanente «di per sé caotica, poiché frutto di donazioni e non di una determinata politica di acquisizioni» – così la definisce la curatrice – all’incontro con le più attuali espressioni del contemporaneo. Il concetto di pertinenza guida la strada, senza produrre faccia a faccia da imbarazzo, casomai dei rimandi e corrispondenze molto spontanei; proponendo quell’arte contemporanea a “tempo unico” in cui Piero Manzoni e un suo Achrome stringono la mano alla genialità del collettivo Claire Fontaine, e al loro lucidissimo monocromo in vernice anti-invasione, su cui sono visibili i segni di qualche “San Tommaso” scettico al cospetto di una pittura perennemente fresca. 
VX 30 - Chaotic passion – installation view – courtesy Museo di Villa Croce – photo Nuvola Ravera
Ci sono poi artisti solitari come Andrea Nacciarriti in cima allo scalone, lì dove ha accumulato disordinatamente insegne luminose di tutti i tipi, creando un complesso d’immagini e font che sta in piedi senza troppi perché; col facile e intelligente R.I.P. landscape è il Favelli della situazione, non tanto perché scova roba vecchia (poi il senso plastico per la costruzione risulta di tutt’altra pasta, molto meno ready-made), quanto per il valore poetico che gli cuce intorno. Classe 1976, otto anni in meno di Favelli, e lavoro datato 2009. Facendo due conti, passati i trent’anni la nostalgia dei tempi andati bussa inevitabilmente alla porta. 
Altra scena per il Pietro Consagra scultore-sperimentatore in un bozzetto anni Sessanta, decenni prima di diventare produttore di sculture un po’ spartitraffico e un po’ arredo urbano che conoscono (si presume perlopiù a loro insaputa) milanesi e romani. Artisti, opere e molte coppie di fatto che nessun bigotto dovrebbe disconoscere; appaiate dall’indecifrabilità della loro comunicazione scritta (Vincenzo Agnetti e Margherita Morgantin), o dalla leggerezza della linearità astratta, come la libertà plastica di Alice Cattaneo e quella bidimensionale di Cesi Amoretti. Sanremese poco conosciuta, la Amoretti è di una pulizia tanto sconfinata da essersi meritata l’invidia ammirata di Stefano Arienti (rivelazione da insider di Lovecchio), intervenuto all’inaugurazione di metà dicembre. Le lodi dell’artista di Asolo hanno toccato anche una leggiadra e strutturata Costellazione di Dadamaino, nello stesso salone dove l’inchiostro su carta di Regina è linea che riempie lo spazio e precursore dell’astrazione in video di The cool couple, collettivo che deve ringraziare tanto le scie aeree (su cui è stato detto tutto e il contrario di tutto, il complotto è ancora aperto) quanto l’informazione populistico-virale all’epoca di Youtube. Piattaforma sociale che pesa di più quando il terrore è sentimento quotidiano, e si tramuta in una comunicazione-droga distribuita da pusher-spettatori incoscienti, producendo assuefazione assieme a lavori scenografici come You will never be safe di Pennacchio argentato
VX 30 - Chaotic passion – installation view – courtesy Museo di Villa Croce – photo Nuvola Ravera
D’altro concettualismo la linea d’acciaio tridimensionale di Serena Porrati, come gli intagli su carta di Serena Vestrucci, riflessione sul tempo dell’artista. Resta il fatto che in Italia non sei nessuno se non metti in mezzo Lucio Fontana, fosse anche a sproposito. L’astrattismo spaziale e oltre-materico della sua terracotta ovoidale (con tanto di buco e taglio) qui ritrova un ecosistema favorevole, contestualizzata tra le geometrie a grafite che Chiara Camoni propone come una serie di personali ritratti. 
«Ci piaceva l’idea di terminare con Bruno Munari perché è dalla sua Scrittura illeggibile di un popolo sconosciuto che tutto si è sviluppato. Anzi, in origine avevamo pensato d’intitolare come la sua opera l’intera mostra». Così la curatrice introduce l’eclettico milanese, borderline geniale nella semplicità del suo approccio alle problematiche inerenti la comunicazione, dal concretismo astratto della pittura alla progettazione di una lampada o un letto. Alla riflessione in linea coi tempi che nel 1975 ottiene con una specie d’ideogramma palesemente indecifrabile, su un’altrettanta incomprensibile stampa da computer. Foto-ricordo di un anniversario festeggiato consapevolmente, guardando al passato come parte del presente e fondamenta per il futuro, perché il tempo non consuma l’attualità di certe intuizioni. Cento (e speriamo più) di queste mostre Villa Croce!
Andrea Rossetti       

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