01 aprile 2016

Lezione controcorrente

 
A Venezia arriva Khaled Khalifa, grande scrittore siriano. Abbiamo seguito un discorso scomodo, che riscrive l'attualità secondo gli occhi di chi ha scelto di restare “al fronte”. E di non tradire il sangue, né dell'Islam né dell'Occidente

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«Finché continuerà l’appoggio al regime dittatoriale, l’Europa tradirà i propri valori fondativi». 
È una denuncia feroce quella di Khaled Khalifa, tra i massimi scrittori siriani contemporanei, che in occasione del festival “Incroci di Civiltà” dell’università Ca’ Foscari di Venezia, ha parlato di letteratura e politica, partendo dal noto romanzo Elogio dell’Odio (Bompiani, 2011),  alla gremita fondazione Querini Stampalia. 
«Quello che è accaduto a Parigi e Bruxelles succede tutti i giorni in Siria, in modo assai più grave», racconta lo scrittore che ha più volte rifiutato l’esilio e l’appoggio della comunità internazionale, continuando a vivere nel Paese di origine. «Questo certamente non giustifica gli atti di terrorismo, ma occorre porsi della domande semplice e che nessuno si pone: chi ha fondato l’Isis, chi lo sostiene e chi ha fornito loro i mezzi. Se non vi ponete queste domande, voi tradite il sangue di Parigi e Bruxelles». Una conversazione fiume, accompagnata dalle domande di Manfred Nowak dell’European Inter University Centre for Human Rights and Democratisation. «L’Isis è una copia rinnovata di al-Quaida», aggiunge Khalifa, nato nel 1964 in un piccolo paesino nei presi di Aleppo da genitori contadini e poi trasferitosi a Damasco, dove è diventato una voce da sottoporre a censura. 
«L’Isis è una copia che fa tanto appetito, e continuerà a farlo, finché nessuno si porrà queste semplici domande, finché continueremo a credere nell’Islam come il nemico pronto e che fa comodo». Una guerra giocata sullo scacchiere mondiale, quella che si combatte nel teatro siriano, che Khalif ha raccontato anche nel suo ultimo romanzo Death Is Hard Labor (2015). 
«Sono ancora 18 milioni i siriani che abitano il paese – rivela lo scrittore – e si trovano schiacciati dal regime dittatoriale di al-Assad da un lato e i fondamentalisti di al-Quaida e l’Isis dall’altro». Parla in arabo Khalif, lo accompagna un traduttore simultaneo. Non che non sappia altre lingue, questo raffinato intellettuale dai modi semplici, ma rifiuta di parlare un lingua diversa dalla propria nelle sedi ufficiali, perché evoca in quei suoni esotici il lontano di un mondo che per noi occidentali ha solo il rimbalzo sordo del gioco mediatico. 
«Tutti devono sapere che in Siria all’inizio c’è stata una rivoluzione pacifica, non una guerra civile. Una rivoluzione soppressa dal regime dittatoriale di al-Assad e di cui per oltre un anno non si è parlato, finché questa rivoluzione è diventata una guerra degli altri sul territorio siriano». 
Definito dal New York Times, “Un autore che ricorda William Faulkner e Gabriel Garcìa Márquez”, acclamato dalla critica internazionale, e tradotto in oltre otto lingue, sfidando a pieno volto la censura, Khalifa di sé dice: «Noi scrittori non possiamo scappare. Abbiamo bisogno di una letteratura forte. Una letteratura che metta a nudo i dittatori». Sull’Europa, invece, poche parole e una vena di amarezza: «Credo che gli europei siano immersi in una crisi totale. Vivono l’idea che il mondo arabo non sia compatibile con la democrazia, ma la primavera araba ha mostrato che i popoli non muoiono. Anche se dalla parte europea c’è un menefreghismo, credo che l’Europa non possa scappare dalle proprie responsabilità». (Marco Petricca)

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