04 aprile 2016

No velo No stipendio? Ne abbiamo abbastanza!

 
Una ripercussione del clima rovente dei nostri tempi, in fatto di "guerre di civiltà", passa anche da una serie di imposizioni di codici. Stavolta è Air France a far discutere: la compagnia aerea obbligherebbe le proprie hostess a mettere il velo, quando in trasferta in Iran

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Scusate, ma pare che della “libertà” o della tanto professata tale, si sia capito ben poco. Tanto più se la notizia di una particolare iniziativa arriva dalla Francia “illuminista” che, a quanto parte, per salvaguardare i rapporti con l’Iran, si appresta a coprire le proprie “ambasciatrici” nel mondo, ovvero le hostess della compagnia di bandiera, l’Air France.
Già, perché pare che tra le imposizioni riservate al personale femminile che opera nei collegamenti tra Parigi e l’Iran, che riprenderanno il 17 aprile dopo la revoca delle sanzioni al Paese arabo, ci sia quello di mettersi il velo nei trasferimenti tra aeroporto di Teheran e alberghi. 
Inutile dire che la proposta, come giusto che sia, ha scatenato un putiferio. Perché se è vero che l’Occidente deve portare rispetto al mondo islamico, allora deve essere vero anche il contrario, altrimenti si passa per quelli che – come vorrebbe la Lega italiana – obbligherebbero le donne musulmane a scoprirsi una volta sbarcate a Parigi, o Milano, o Londra. Ma c’è dell’altro: se le assistenti di volo non rispetteranno l’obbligo di indossare pantaloni e maglie larghi, che coprano tutto il corpo, e di coprirsi i capelli con un velo una volta fuori dall’area degli arrivi, saranno previste sanzioni sul salario e sulla carriera. E se il dress code dovesse essere fuori discussione, il sindacato Unac, che ha anche contattato la ministra per i Diritti delle donne francese Laurance Rossignol, ha fatto sapere la richiesta delle hostess: rinunciare alle tratta senza per questo aver ripercussioni sullo stipendio. Ci sembrerebbe il minimo, anche perché il rispetto, finiamola, deve finirla di passare per un vestito. Da una parte, e dall’altra. Specialmente in questo mondo che si vuole così globale, e le cui fratture dovrebbero iniziare ad essere ricucite proprio da chi – quotidianamente – si impegna per collegare civiltà. (MB)

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