22 aprile 2016

La lavagna

 
Capitale per una notte
di Ludovico Pratesi
La performance di Kentridge ha restituito a Roma il ruolo che potrebbe, e dovrebbe, avere

di

Folla ovunque, sul ponte, sulle banchine, perfino sulle scale. Migliaia di volti catturati da una processione di ombre gigantesche che si stagliano sui travertini dei muraglioni del Tevere, costruiti dai “piemontesi” per evitare le piene del fiume che, nei lunghi secoli di dominio dello Stato Pontificio, almeno due volte l’anno, trasformavano il centro di Roma in un pantano. Dopo quei muraglioni, cominciati negli anni Settanta del Diciannovesimo secolo, le inondazioni si sono fermate, ma hanno anche voltato le spalle al fiume. Così, a differenza di Parigi, la capitale del Regno d’Italia ha dimenticato il suo fiume, frequentato solo da canottieri e, nei soli mesi estivi, dal triste passeggio dei cittadini attirati da discutibili rassegne di stampo fieristico.
Eppure ieri sera il fiume è rinato, riportato alla luce dall’opera dell’artista sudafricano William Kentridge Triumph and Laments, una sorta di saga per immagini che racconta, attraverso una processione di disegni lunga 500 metri, il passato e il presente della città eterna. E come se non bastasse, ieri 21 aprile, e oggi 22, l’opera viene animata da uno spettacolo di luci, ombre e musica, composta da Philip Morris e Thuthuta Sibisi, che ha richiamato migliaia di persone, così come un centinaio circa sono le persone coinvolte direttamente nel progetto, da Kristin Jones, presidente dell’associazione Tevere Eterno, le gallerie Lia Rumma, Marian Goodman e Goodman Gallery, le istituzioni culturali e politiche, i sostenitori privati e i performers che hanno riportato sul fiume immagini romane, canti e balli e sonorità del Sud Africa. E la nostra città, disastrata e sofferente, per una sera si è riscoperta Capitale del mondo, ha respirato una cultura condivisa, collettiva, come da decenni non succedeva più. 
Forse proprio dal lontano 1982, quando venne proiettato il Napoleon di Abel Gance sull’Arco di Costantino , davanti ad una folla attonita ed estasiata, come per Kentridge. Una dimensione alla quale non eravamo più abituati, che avevamo dimenticato è ritornata  per farci riflettere. Prima di tutto, sulle enormi potenzialità di una Roma che si vuole Capitale del mondo, pronta a riutilizzare i propri spazi monumentali meravigliosi non per un turismo mordi e fuggi, ma per proiettare i suoi cittadini nel mondo senza paura e senza vergogna , consapevole del fatto che il proprio patrimonio è la sua principale (se non unica) risorsa per avere un ruolo attivo sulla scena internazionale, non come passivo serbatoio di antichità ma brillante piattaforma di riflessioni sul presente. Secondo, sulla presenza di questo fiume dimenticato, ricettacolo di vagabondi, tossici e senza tetto ma carico di storie e memorie: cosa fare di questa striscia d’acqua di cui nessuno si cura? Pensate se i muraglioni diventassero il supporto di immagini realizzate da grandi artisti italiani e internazionali  per interpretare una città proiettata in avanti. Terzo, sulla dimensione condivisa della cultura, che negli anni Settanta divenne un modello internazionale e oggi sembra dimenticata, svilita, scoraggiata in ogni modo? 
Senza Sindaco, ostaggio di lotte tra partiti e movimenti, teatro di delitti efferati e disperati, discarica a cielo aperto, con Kentridge Roma ha rialzato la testa, fuori dagli stadi e dalle tifoserie, e come una cometa splendente ha attraversato il cielo, sulle note calde e avvolgenti di sonorità tribali, per ricordarci che, nonostante tutto, è ancora una Capitale del mondo.
Ludovico Pratesi
 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui