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Da molti anni oramai a giugno a Roma c’è la festa di Villa Massimo. È un must, una ricorrenza, un punto fisso dove reincontrarsi prima dell’estate, dove un flusso sempre più numeroso di gente si saluta, si rilassa, beve chiacchiera. Ma Villa Massimo non è solo questo, e anzi negli anni sta diventando sempre di più un punto fermo della capitale. L’occasione della festa d’estate è quella di aprire gli studi degli artisti che vengono in residenza a Roma per sei mesi, per vedere ciò che stanno producendo, per fare quattro chiacchiere con loro.
Quest’anno la festa non c’è stata. E devo dire la verità un po’ tutti ci chiedevamo come mai. Spiegato l’arcano: la Villa è in fase di ristrutturazione, ci si rinfresca, si mettono in sicurezza alcuni edifici e ci si prepara per il nuovo anno. Grazie a questa temporanea chiusura la villa ha adeguato i suoi sei mesi di residenza con le altre istituzioni straniere, facendo prendere l’avvio a settembre. E così eccoci con il nuovo programma, che vede moltissime occasioni per godere di quello spazio, per assaporare gusti e tradizioni tedesche, e per godere di un luogo così magico. Talmente magico che il direttore, un lungimirante uomo che mi sembra stia facendo grandi cose, vuole che diventi sempre di più un luogo di tutti, aperto e in continuo dialogo con la città di Roma ed i suoi cittadini.
Dicevamo dell’inizio delle residenze a settembre. Si parte dunque nel mese in cui tutto inizia, il mese che per me, per esempio è ben più significativo di gennaio. Il mese delle grandi promesse, delle speranze. Villa Massimo ci abitua subito bene, perché come tradizione inaugura la sua stagione con l’Electric Campfire, che è alla sua nona edizione alla Villa. Poi ci sarà il via alle residenze, e gli artisti, visivi ma anche architetti scrittori e musicisti ogni anno sembrano essere sempre più interessanti. Il 27 ottobre sarà invece la prima data utile per vedere ciò che stanno producendo in questi studi romani, ristrutturati anch’essi per l’occasione. Insomma a stare lì a sentire tutte le opportunità che hanno questi artisti, che non devono essere necessariamente tedeschi, bensì risiedere da cinque anni in Germania, ci si morde le mani pensando a tutto ciò che per gli italiani non viene fatto all’estero!