15 settembre 2016

“Network”

 
In inglese significa "rete", e spesso ci dimentichiamo come milioni di pesci vi trovino la morte. Se si abbrevia il termine a "net", infatti, si sconfina nell'italiano “trappola”. E ora tutta l'Italia ne parla, grazie ad altri due termini che fanno sempre scena: "porno" e "morte"

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Ci sarebbero decine di implicazioni psicologiche, sociologiche e anche filosofiche forse, nel caso del suicidio di Tiziana Cantone. Una notizia che ha fatto il giro del Paese in queste ultime ore, e che ruota intorno ad alcuni cardini principali: un video porno amatoriale, la sua messa in rete, la sua diffusione e poi la vergogna, e il suicidio della protagonista. Una storia nera contemporanea, dove però Eros e Thanatos non vanno a braccetto; sono avvinghiati, invece, i comportamenti psicoticamente pruriginosi di un’umanità che – vista così – è puramente allo sfascio. Pochi giorni il regista Tomas Koolhaas, figlio del celebre architetto Rem, nella sua intervista a Exibart ha dichiarato: “Ho incontrato tantissime persone che hanno avuto successo in ogni campo e in ogni luogo, e nessuno di loro passa il proprio tempo a prendere a schiaffi sui social network gente che neanche conosce”.
Figuriamoci allora chi è questa gente che non solo ha fatto male a una ragazza viva, sfottendola e schernendola perché è così che si fa con le “puttane”, ma si concede il lusso di canzonarla – per usare un eufemismo – anche da morta. 
Che uno decida cosa fare del proprio corpo, come usarlo, e dove mostrarlo, è affar suo. Che sia “postato” con l’inganno, no. Su questo non ci piove. Tiziana l’ha messo da se, per dare una lezione al fidanzato? Allora chi è causa del suo mal pianga se stesso, si pensa.
Ma sappiamo come vanno queste cose: la pubblica piazza è stata sostituita dalla pubblica rete; sulla rete i “valori” – di qualunque genere siano – sono amplificati, perché sono amplificati i commenti, le condivisioni, perché volendo le notizie arrivano lontano, specialmente quando si percepiscono le “difficoltà” della vittima. Chissà, se forse Tiziana Cantone se ne fosse sbattuta forse tutto sarebbe rientrato nei ranghi. Magari una macchia sarebbe rimasta, certamente nella rete da qualche parte il suo amplesso e la sua voce si sarebbero incagliati in qualche oscurità, ma forse il suo corpo e la sua psiche si sarebbero salvati. E quei 20mila euro di risarcimento per eliminare il file non sarebbero stati, forse, la condanna definitiva.
Nella pesca a strascico della monnezza, della volgarità, di migliaia di cretini che altro non sanno fare che accanirsi con un’illustre sconosciuta, compaesana o meno, forse vince chi ha i denti così forti da strapparla via questa rete, e scappare dal fondo. Quando più in fondo non si può andare. 
Ora il garante della Privacy Antonello Soro invoca “Educazione del web”, come se prima non ci fossero stati episodi, come se la rete – da quando è nata – fosse un posto sicuro. Tiziana forse sperava nel “diritto d’oblio”, termine osceno per identificare la rimozione (invana) dal web di ogni traccia di se. Il grande mare invece dimostra, come in natura, di restituire sempre tutto. Il diritto d’oblio dobbiamo chiederlo solo a noi stessi, sperando che gli stolti (e come non ricordare il criticatissimo Umberto Eco, nella sua celebre arringa contro gli imbecilli telematici) possano trovare di meglio da fare. (MB)

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