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17
settembre 2016
In questi giorni si è parlato spesso del potere di internet, del web: la rete tira fuori storie che vorremmo sepolte, funge da archivio per roba che scotta, ci permette una diffusione globale. Julian Assange è uno degli uomini che più al mondo, con la rete, ci ha fatto i conti. L’attivista creatore di Wikileaks ha una storia ben nota, e da quasi 4 anni è rifugiato politico nell’Ambasciata dell’Ecuador di Londra, dove pare che ci stia rimettendo anche in salute mentale.
Intanto però, spinto dalla Svezia che lo vorrebbe dentro con l’accusa di violenza sessuale e rapporti non protetti, l’Ecuador il 17 ottobre consentirà un processo nei propri locali, condotto da un magistrato sudamericano ma affiancato da una procuratrice svedese.
Che sia un processo politico, e non tanto per il sesso, con un mandato d’arresto europeo da parte della Svezia, è chiaro a tutti, ma oggi – dopo lo scompiglio delle mail dei democratici – dal canto suo Assange ha lanciato una provocazione: con un tweet chiede la grazia a Obama per Chelsea Manning, che prima si chiamava Bradley.
Già, Chelsea è la prima trans ad essersi operata durante il regime carcerario, e stando a quel che ci ha insegnato la storia, in tutta la vicenda di Wikileaks, nel prossimo futuro, potrà essere lei a strappare lo scettro di questa storia a Julian.
Perché è stata lei a informare Julian, nel 2009, di tutte le verità scomode – abusi, torture, stupri, uccisioni di civili – durante il periodo in Iraq come analista di intelligence. Ed è stata lei a beccarsi 35 anni di carcere secondo la pena più severa per lo “Espionage Act”, ed è stata lei a dimostrare – anche con un tentato suicidio – che oltre il vecchio soldato che si è impicciato della verità, scottandosi, c’è anche l’uomo che ora si impiccia di diritti. Ancora una volta scomodissimi, e infatti spesso negati, ritardati, minacciati per una minuzia. Assange forse non si sostituirà di certo a Manning, ma fa si che questo caso non si spenga. Come non dovrebbe spegnersi la protesta dei sostenitori e la ricerca della nostra sciocca, stupida, orrenda verità. Che tutti vogliamo tenere insabbiata. (MB)