21 settembre 2016

… senti chi parla!

 
Il mirino dei giornali made in Usa è puntato di nuovo sul caos della capitale, mentre Raggi annaspa e Roma affoga dagli Stati Uniti ci si preoccupa delle conseguenze del populismo. Ma con le elezioni di Novembre dietro l’angolo e le percentuali che dividono i due candidati si avvicinano sempre di più

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Ieri ai nostri amici d’oltreoceano sarà capitato di aprire le pagine del Wall Street Journal e del New York Times e trovarsi a leggere della strana situazione in cui riversa la capitale d’Italia. Entrambe gli articoli non hanno un tono molto incoraggiante. Se da una parte il New York Times ironicamente ricorda che “il momento d’oro del Movimento Cinque Stelle si è trasformato in un caos in meno di tre mesi” e che Virginia Raggi, descritta come “un giovane avvocato con nessuna esperienza politica”, stia “annaspando” alla ricerca di una soluzione, dall’altro lato il Wall Street Journal rintraccia nella stasi, in cui l’amministrazione della città riversa da mesi, una continuità con il passato, parlando di Roma come una città che è notoriamente un caso internazionale e non fa che confermarsi una delle città più difficili da governare. La conclusione del Wall Street Journal è che il movimento ha vinto cavalcando il dilagante distacco dei cittadini dalla politica, ma che i Cinque Stelle si sono fatti cogliere con la guardia abbassata, forse proprio a causa della loro inesperienza. Dopo aver analizzato il pasticciaccio delle nomine con cui è ancora alle prese Virginia Raggi, il New York Times chiosa ponendo un dubbio sul futuro della città e del movimento stesso: forse la vittoria a Roma invece di portare sicurezza politica e stabilità alla città, non farà altro che mostrare agli elettori quanto i Cinque Stelle possano incappare nelle stesse dinamiche di tutti gli altri partiti. Che il M5S sia un caso unico nella storia della politica e che la Raggi stia vivendo un momento faticoso, dimostrando così l’assenza di visione e direzione precise è sotto gli occhi di tutti. Ma è a Roma che tocca l’ennesima ferita che viene inferta ad una città già affaticata, piena di immondizia e topi, e in cui i teatri, i cinema e le gallerie chiudono. In questa faccenda che vista da lontano sembra fatta solo di populismo, inesperienza, antipolitica, volontà di cambiamento andata in malora, potrebbero essere rintracciati degli elementi comuni anche nella campagna elettorale di uno dei due candidati alla presidenza degli Stati Uniti, il candidato che secondo gli ultimi sondaggi potrebbe raggiungere il 44,8 per cento contro il 45,4 della sua sfidante, quello che ha fatto del populismo e del razzismo la sua bandiera e che sembra potrebbe passare in vantaggio anche a causa della paura che imperversa negli Stati Uniti in queste ultime ore. Ma noi, per il bene degli americani, non ce lo auguriamo. (RP)

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