13 ottobre 2016

Do you speak italian?

 
Dall'Inghilterra un'altra gaffe, un po' razzistella, nei confronti dell'Italia. Alimentata dai media, dalla cattiva fede, dal bisogno di far rumore, per una semplice verità che non turberebbe nessuno, se non nascondesse un sottofondo

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Parliamoci chiaro: a volte (spesso) sono guai se un napoletano viene confuso con siciliano, guai se a Bologna si appella un cittadino come romagnolo e non come emiliano, o se si confonde il dialetto veneto con quello friulano.
Vogliamo essere diversi noi italiani, sempre federalisti – relativamente alla regione, alla provincia, al paese di origine. L’Italia è unita ma sempre divisa: dalla tradizione culinaria, dal mare, dalla montagna, da quello che vi pare. E tutta questa “diversità” è un tesoro da portare avanti. Vero. 
E allora perché vi incazzate tanto se all’estero le scuole chiedono quale sia il vostro ceppo linguistico? Accaduto nel Regno Unito (che sempre di più scivola verso il basso nella “diversificazione”, e non in senso buono, tra UK e il resto della maledetta Europa), l’ambasciatore d’Italia a Londra, Pasquale Terracciano si è scusato con i cittadini italiani per i moduli che (forse in cattiva fede, forse no) vengono utilizzati nel Regno Unito per gli studenti stranieri.
L’italiano è uguale per tutti, certo, le inflessioni no però. Si dà il caso che le nuove generazioni parlino esclusivamente italiano corretto, o forse no. Forse lo parlano solo quei giovani che possono permettersi di andare a studiare a Londra o nel Regno Unito, o che studiano e basta in Italia. 
Ma che nel Belpaese tutti parlino italiano è pura fantascienza. E allora di che divaolo vi scandalizzate se all’estero chiedono se il vostro ceppo è napoletano o meno? Ben venga, o no? Il problema, maliziosamente, è che dietro questi fattori secondari, diciamo così, qualcuno vede l’ombra di un razzismo strisciante, quando in realtà nella buona fede si tratterebbe solo di mettere i puntini sulle i, forse per un migliore apprendimento dell’inglese. 
Il ministero degli Esteri britannico, ha spiegato Terracciano, «condivide le nostre perplessità sull’argomento. Vogliono capire come sia potuto succedere, ma dal Regno Unito s’impegnano a chiedere di modificare quei moduli», aggiunge. Mentre arrivano, appunto, le scuse formali. E allora non va bene affatto, perché il Regno Unito – di nuovo – ammette nemmeno troppo implicitamente una sorta di deriva che più che campanilistica è razzistella. Meno male che l’inglese è la lingua madre del (NOSTRO, non dimentichialo) mondo. (MB)

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