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Non ci va per il sottile Shahak Shapira, autore satirico tedesco-israeliano, e il suo ultimo lavoro ha dei risvolti macabri, ma comprensibili. Il colpo d’occhio del Memoriale dell’Olocausto di Berlino, disegnato dall’architetto americano Peter Eisenman, è notevole e il rigore minimalista non ne sminuisce l’impatto. Anzi. Così molti turisti, ignorando (o fregandosene) del fatto che i blocchi di cemento simboleggiano i sei milioni di ebrei sterminati dal regime nazista, ci si scattano gli immancabili selfie. Non solo con le solite boccucce a cuore e gli indici puntati a indicare chissà quale scemenza, ma qualcuno sfoggia anche pose yoga e acrobatiche.
A tutto questo Shapira ha risposto con Yolocaust, per cui i severi blocchi di cemento sono sostituiti dai drammatici scenari che dovrebbero evocare. L’effetto è paradossale e tragico insieme, spesso raccapricciante. Ma forse a qualcuno passerà un po’ la voglia del selfie e forse, più importante, capirà che significa Olocausto.