04 marzo 2017

Cesare Leonardi, l’architetto. E l’artista

 
E anche designer. Se non avete ancora approfondito la complessa figura di Cesare Leonardi è ora di farlo. A Villa Croce la sua prima antologica

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Per essere architetto “sui generis” basta relativamente poco, tipo non modificare il proprio “nome comune di persona” – magari con un bel “barra” designer d’obbligo – in “archistar”, ragionando strettamente in termini di funzionalità – più che autoreferenzialità – progettuale. Se poi tra una chiacchiera e l’altra è uno scafato come Cesare Leonardi (Modena, 1935) a beccarsi quell’incomodo appellativo, la voce di Joseph Grima – curatore assieme ad Andrea Bagnato della mostra “Strutture” (fino al 17 aprile), antologica che Villa Croce dedica all’opera leonardiana – si scioglie in un laconico, ma indicativo, «Beh, sicuramente».
“Archistar”, un neologismo che nel vocabolario di Leonardi non ha mai trovato spazio, e c’è poco da stupirsi trattandosi di un professionista DOCG, ovverosia radicato profondamente in quell’area medio-emiliana che non garantisce lo stesso eco mediatico di Milano o Roma, solo per rimanere in Italia. Modena e dintorni però non sono mai stati delimitanti per un architetto col pallino di «lavorare su ciò che gli piaceva, che lo interessava di più» come ne parla Grima, quasi un filantropo di nuovo corso per quel suo dedicarsi a sistemi architettonici sostenibili, e ad una dimensione human-friendly niente affatto scontata nel mestiere. A completare l’opera è poi un metodo di ricerca per cui è facile ritrovarlo con la reflex in mano, «professionista in scatti che non sono da fotografo della domenica» secondo Bagnato, confondendo alla base le sottigliezze che separano l’architetto dall’operatore artistico-visuale. Sul fatto che Leonardi sia l’ibridazione tra un architetto e un artista, come entrambe le cose trattate ben separatamente, questa mostra dà unicamente certezze. 
Cesare Leonardi – Strutture – Installation view – courtesy Museo di Villa Croce – photo Anna Positano
Low profile per vocazione, pur se coi suoi oggetti di design è riuscito a conquistare il MoMA o il Victoria & Albert Museum, Grima ricorda come Leonardi non sia mai stato oggetto di una personale: «Questa è la prima» ci dice, «ma meritava un riconoscimento, ed essendo non più giovanissimo ci interessava che ciò avvenisse il più presto possibile». Nello specifico l’antologica di Villa Croce – rilevante per interesse suscitato, ma che entrambi i curatori raccontano essere sorta un po’ in sordina, senza troppe pretese e più che altro per far da spin off della mostra di Modena (dove Leonardi è certo più “endemico”, prevista per settembre prossimo) – va oltre l’omaggio ad un architetto. 
“Strutture” è il prodotto opportunamente pensato per non snaturare una personalità che molti potrebbero definire semplicemente come eclettica, ma non noi di Exibart, abituati a leggere tra le righe; più che altro ci appare forte, decisa nel costruirsi quella parabola creativa fuori dagli schemi tracciata dalla mostra con altrettanta forza e attenzione, senza pedanterie in un rigore espositivo (quattro sezioni stagne: Design zero, Ombre, Paesaggio, Solidi) che non fa perdere mai la bussola.
Cronologia, lavori topici e materiali indicativi di un epoca come gli anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, in cui la vetroresina ampliava gli orizzonti della progettazione, dalle automobili all’arredamento. Nascevano allora dei cult come la Sedia Nastro, la Poltrona Guscio e la Sedia Dondolo, quest’ultima particolarmente dominata dal rapporto tra superficie liscia e scanalata. Oggetti dal gustoso vissuto, la Guscio e la Dondolo in esposizione presentano una cascata di segni d’usura che fa storia su pezzi storici; a dare sacralità – ma soprattutto a far capire che “lì non devi nemmeno provare a sederti” – ci sono i piedistalli che elevano ogni pezzo una spanna sopra lo spettatore, così da rendere la sua utilità pari a quella di una poltrona Proust di Mendini, tanto per dire. Cioè prossima allo zero. Problema nostro forse, ma un elemento d’arredo pensato da Leonardi (assieme alla compagna Franca Stagi), è vagamente difficile immaginarlo in dimensione unicamente espositivo-ornamentale.
Cesare Leonardi – Strutture – Installation view – courtesy Museo di Villa Croce – photo Anna Positano
Se girando noterete che la sala successiva col design niente ha da spartire non è colpa vostra, non siete finiti in un’altra mostra. Anni Settanta e un’adorabile artisticità di progetto nelle presunte estroflessioni/introflessioni fotografiche dello Skyline di Cesenatico, in cui l’attenzione al bilanciamento luce/ombra su una complessità urbana ridotta a porzioni di tagli strutturali – col tutto corroborato dalla serrata disposizione degli scatti stessi – ha una sola definizione: astrazione geometrica pura, e perfettamente riuscita. Sulle ombre, o meglio sul rapporto tra ombra e luce, Leonardi «ha prodotto una serie di scatti smisurata rispetto a quelli qui esposti» racconta Bagnato. Leonardi però è propriamente architetto e non fotografo, perciò può senza remore concedersi di passare l’ombra da complemento a soggetto; e nei grossi pannelli Primavera 1 e Primavera 2 connotare una Modena fuori dai suoi schemi, dove gli edifici, le auto e tutto quanto possa comporre corredo urbano riesce a sparire/diventar fondo per le silhouette di altrettanti elementi fuori camera. È praticamente come tendere a destrutturare le ambientazioni per ricostruirle in un hic et nunc temporale scelto. 
Fotografia artistica o ricerca architettonica? Per i profani la prima, per Leonardi indubbiamente più la seconda, dove lo studio delle ombre rientra tra punti forti nella selezione delle diverse essenze arboree da inserire nella progettazione di parchi come l’Amendola di Modena (anno 1981). Ragionato sulla stagionalità, disseminato dalla variabilità di pallini (gli alberi appunto) che passano dal verde di primavera ed estate passano al marrone dell’autunno o al puntinato incolore dell’inverno, in un quartetto d’insieme che trasuda empatia più che freddezza progettuale. E questo benché a monte del rapporto architetto/spazi naturali urbani esista la ponderata razionalità della Struttura Reticolare Acentrata, sistema attraverso cui Leonardi regola la posizione di ogni elemento (paesaggistico e funzionale) nello spazio; sotto teca ne è riportata una doppia versione in maglia metallica e tasselli di legno, soluzione quasi da lucciconi nel suo fare tanto gabinetto scientifico di scuola. 
Cesare Leonardi – Strutture – Installation view – courtesy Museo di Villa Croce – photo Anna Positano
L’ora di scienze non è finita, assume solo il tono ben più poetico della botanica. Cinquanta alberi a china su carta lucido coprono il salone del piano nobile, parte del volumone L’architettura degli alberi (da sfogliare in mostra) prodotto da Leonardi sempre con Franca Stagi; belli, bellissimi e rifiniti, la loro finalità (uno studio sulle essenze applicabili in fase di progettazione architettonica) è qui riassorbita dalla cura dei dettagli strutturali, da un’artisticità che, come per la fotografia, è spina dorsale nell’operare dell’architetto modenese. 
Siamo sempre più convinti che dell’artista visivo Leonardi abbia quella punta di orgoglio creativo, lui che «non è contento delle tavole nella versione a stampa, meno rifinite rispetto ai disegni originali», come racconta Grima. Differenza c’è, ma quasi fosse il prezzo da pagare per uno che sui disallineamenti di genere ha maturato tutto il proprio percorso lavorativo, come tra i pezzi di design che aprono la retrospettiva e i Solidi a chiusura. Si è sempre nel campo delle sedute, ma tempistiche differenti – ora nell’ordine degli anni Ottanta in poi – determinano il ricorso a materiali nuovi e ad un’etica della progettazione rivisitata. L’utilizzo del compensato per casseforme è sia la differenza primaria, sia quella relativamente meno sostanziale in sé; fossilizzarsi sulla sua povertà toglie infatti attenzione alla concezione modulare con cui sono resi minimi gli scarti e ogni pezzo un pezzo unico, in barba alla riproducibilità fondante nel mondo del design industriale. Dalla serialità all’unicità Leonardi avvicina un piacere strutturale scultoreo, tra concavi e convessi, tagli e spigoli che rendono ogni Solido bello da scoprire lentamente e da tutte le sue angolazioni, buttandoci anche la citazione di Castiglioni con un paio di sedute che ricordano troppo la Mezzadro. Massima espressione di un design con gli attributi, trattato in termini di puro progetto.
Andrea Rossetti

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