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E tutto d’un tratto, ritrovarsi in un altro luogo. Lasciata alle spalle la vita di ogni giorno che scorre frenetica e senza sosta, l’incontro con le opere di Gregorio Botta (Napoli, 1953) placa ogni nostra apprensione e ogni nostro affanno, immergendoci in atmosfere rarefatte, cariche di fascino e mistero. Un ambiente a cui si accede quasi in punta di piedi, per partecipare a quel senso sacrale che l’artista ha voluto infondere alle sue opere. A chi le guarda è richiesta solo la volontà di lasciarsi condurre in questo gioco di sapienti rimandi di forme, tra pieni e vuoti, tra luci e ombre. Gregorio Botta, con maestria, nella sua ricerca combina tra loro elementi e colori mescolandoli alla luce, artificiale o naturale che sia. La scelta ricade sempre su pochi materiali (come la cera, il ferro, il piombo che lo pongono nel solco delle ricerche poveriste) a cui abbina con coerenza solo tre tonalità di colore, ovvero la terra verde di Nicosia, il rosso Pompei e l’ocra.
Nell’opera che dà il titolo alla mostra, “A cosa aspira l’acqua”, la luce attraversa una solida struttura di vetri e acqua, che si smaterializza e si tramuta sulle pareti della Galleria Studio G7 in un gioco di riflessi e ombre che richiamano alla mente una grande composizione di ninfee, pronte a dischiudersi proprio lì, davanti ai nostri occhi. Alla domanda precisa sulla sua arte e sulla poetica perseguita, Botta risponde con una lunga citazione di Petronio, così come riportata sulla tomba che a Roma accoglie le spoglie di T.S. Eliot: 2Nam Sibyllam quidem Cumis ego ipse oculis meis vidi in ampulla pendere, et cum illi pueri dicerent: Σίβυλλα τί θέλεις; respondebat illa: ἀποθανεῖν θέλω ( letteralmente: Infatti io stesso con i miei occhi a Cuma vidi la Sibilla appesa in una cesta, e quando i ragazzini le chiedevano: “Sibilla, cosa vuoi?”, ella rispondeva: “Voglio morire”)”. Egli ribadisce, così, come per lui sia importante l’indagine sulla materia, sulla sua essenza e i suoi passaggi di stato. Chiaro il riferimento voluto nella citazione a Petronio. Il corpo della Sibilla cumana, che degenera e si annienta mentre lei è costretta a vivere in eterno, è da Gregorio Botta ripreso come metafora dell’acqua che lentamente ma inesorabilmente evapora sui vetri delle sue strutture ma il cui ricordo, proprio come avviene per l’anima della Sibilla, continua a vivere sulle pareti, nei riflessi che la luce crea passando attraverso la materia vetrosa. A cosa aspira l’acqua, quindi? La risposta è aspira al suo divenire luce e ombra, alla perdita del suo corpo fisico per diventare un’idea, un guizzo, pura essenza.
Leonardo Regano
mostra visitata il 18 febbraio
Dal 18 febbraio al 8 aprile 2017
Gregorio Botta, A cosa aspira l’acqua
Galleria Studio G7
via di Val d’Aposa, 4/a
40123 Bologna
Orari: dal martedì al sabato dalle 15.30 alle 19.30
Info: tel./fax. 051/2960371; mail: info@galleriastudiog7.it; www.galleriastudiog7.it