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Premetto che, finora, ho visto solo la mostra centrale ai Giardini, ma non ancora l’Arsenale. Posso dire che è una Biennale “soft”, dolce, quasi un po’ domestica. Con dei buoni lavori e un buon allestimenti, ma ancora nulla che dia la zampata, il taglio di questa Biennale.
Ci sono alcune cadute: la piccola antologica a Raimond Hains è piuttosto inutile, e tutto sembra un piccolo museo. Per adesso mi pare, insomma, non vi sia la temperatura di una Biennale.
I padiglioni nazionali, invece, sono sorprendenti. Hanno un livello molto alto di allestimento, e forse per la prima volta ci sono tanti padiglioni molto interessanti, anche tra i Paesi che negli anni scorsi erano stati marginali nell’offerta.
Nell’area centrale molto buono è il Padiglione della Svizzera, nel suo dialogo con Alberto Giacometti; poi la Germania che potrebbe essere il Padiglione designato a vincere il Leone d’Oro; molto interessante il Padiglione brasiliano, quelli australiano e austriaco, quello rumeno – bellissimo – con la personale di Geta Bratescu (nella foto sopra), quello greco. A latere, off Giardini e Arsenale, particolarmente buono il progetto di Shezad Dawood, “Leviathan”, alla Palazzina Canonica.