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Abruzzese, nato nel 1840, Ignazio Cerio fu un personaggio decisamente esemplare a Capri. Avviato alla carriera militare dal padre, Cerio rifiutò le indicazioni, e dedicò il resto della sua vita all’isola e al suo popolo, come medico e come studioso, raccogliendo testimonianze dell’epoca paleolitica, che lasciò per interessarsi alla flora e alla fauna marina, organizzando escursioni per la scuola naturalistica napoletana. Insomma, “uno degno di nota”, che ha contribuito alla cultura dell’isola del golfo e a cui il Centro Caprense Ignazio Cerio con Intragallery – Galleria di Arte Contemporanea di Napoli, per il terzo anno consecutivo dedica una rassegna a cui quest’anno, in nome del mitico Cerio, è stato invitato a presentare un progetto espositivo l’artista partenopeo Eugenio Giliberti.
Con il Matronato della Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee, fino al 15 settembre potrete scoprire il “Cerimoniale” che Giliberti ha preparato per scienziato: una grande installazione composta da migliaia di dischetti imperfetti di legno di melo, testimoni della ricerca che lo stesso artista conduce da anni intorno alle trasformazioni naturali e antropiche del territorio.
Si legge nella presentazione: “Il primo atto dell’innamoramento è il desiderio di conoscere tutto dell’oggetto amato: è ciò che ha spinto la sua poetica a rompere pretesi confini dell’arte, incamminandola in un’attività di registrazione di piccole variazioni e di indagazione, di potenzialità e relazioni, di conoscenza più profonda; è ciò che spinge in generale la ricerca ad intraprendere il suo faticoso lavoro al di là dei possibili risvolti pratici”. Ed è ciò che accomuna Giliberti con la scelta, probabilmente non facile, di lasciare la sicurezza della mimetica e della caserma – così come lo stipendio – che fu di Cerio, in nome di una natura e di una condizione, quella isola, che nella seconda metà dell’800 non erano certamente come le conosciamo oggi.
Giliberti, invece, a Capri ha lavorato più volte sull’isola, ma poi l’incantesimo con i luoghi si era interrotto: “Spesso, parlando della vita culturale dell’isola con amici o con frequentatori innamorati di Capri, sento come il continuo riaprirsi di una ferita. La ferita di chi vede nel turismo di cui vive l’sola una specie di macchia originale. L’ultima volta che lavorai qui era il 2008, ma fu un infortunio. Avevo pensato di non volerne più sapere. Capri è ciò che è e non ha bisogno di niente”, scrive Giliberti. Poi, l’incontro: “Il Museo Cerio è il luogo che non ti aspetti, che esiste e non ti chiede l’esercizio del rimpianto. Un luogo anti nostalgico che ti racconta una visione diversa dell’isola, dà conto di una complessità solo apparentemente negata”. E così un’altra Capri, forse è possibile. Nonostante l’anacronismo del pensiero, il suo essere fuori stagione dentro l’estate. (MB)