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Mentre gli iraniani in Iran hanno ridato fiducia al Presidente Hassan Rouhani, 68 anni, per i prossimi 4 anni, votazioni attese anche dagli iraniani del resto del mondo con comprensibile apprensione, nel Padiglione Iraniano della Repubblica Islamica a Venezia in Palazzo Donà delle Rose espone Bizhan Bassiri, con un testo di Bruno Corà e la cura di Majid Mollanoruzi. La mostra si intitola “The golden reserve of magmatic thought”. Bassiri negli anni ’70 del Novecento frequentò l’Accademia di Belle Arti di Roma, dove ancor oggi vive e lavora.
Bizhan Bassiri, Tapesh, The Golden Reserve of Magmatic Thought, vista della mostra
Sculture nere come carbone, materiale che forse ha contribuito alla loro costruzione, si alternano in due file parallele a sculture in bronzo di forma analoga. Nel primo caso la forma arcaica della stele che costituisce il corpo plastico termina con una sorta di escrescenza che evoca una testa assai sintetica, o addirittura completamente astratta. Le sculture in bronzo sono invece nitide e pulite, sulle tracce di certi pezzi di Brancusi e della tradizione della scultura che muove dall’antichità per approdare sulle rive della nostra contemporaneità. Al centro, una scansione ritmica di bastoni in bronzo lucenti come fossero d’oro. Una connessione tra archetipi e mitografie tratti dall’arte persiana connessa a quella greca, e memore di certe pratiche installative e scultoree che in artisti come Magdalena Abakanowicz, tra gli altri, hanno prodotto in Occidente esiti memorabili. Così l’opera al nero domina la scena iraniana, che con Shirin Neshat e la sua “The home of my eyes”, al museo Correr, si addensa in fotografie connesse all’antica arte persiana della calligrafia, e nel video abbraccia visioni metafisiche forse memori del primo David Lynch e del genio di Michelangelo Antonioni.
Eleonora Frattarolo