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05
settembre 2017
È giovane, intraprendente, dinamica, con il pallino per l’auto-imprenditorialità, una vocazione internazionale e, soprattutto, no-profit. Ecco l’identikit della nuova scena indipendente dell’arte romana. Una proliferazione di luoghi autogestiti, talvolta evoluzioni dei centri sociali oppure neonate realtà a iniziativa privata, che valorizzano culturalmente lo spazio urbano circostante, fanno ricerca sul territorio e danno una scossa alla città. Defibrillandola. Proprio quando l’elettrocardiogramma dell’amministrazione capitolina appare sempre più piatto. Si tratta di artisti che si sono ritagliati uno spazio autonomo, autogestito, dove potersi esprimere a pieno e azzardare di più, rispetto a quanto richiesto da quel carrierismo animato dall’attenzione spasmodica verso il riscontro commerciale. L’obiettivo per loro non è più in primis quello di accreditarsi in un sistema riconosciuto, ma fare esperienza, incontrarsi e crescere, meglio se in gruppo. È sempre più diffusa, infatti, la sfiducia verso quel sistema dell’arte concepito come un monolite fagocitante e pervasivo, che impone regole puntuali e canoni formali su dettatura del mercato. Per restare dentro. Altrimenti tutti fuori. Ma come stare in piedi allora? Sono diverse, non facili ma possibili, le fonti di finanziamento alternative, dai bandi nazionali e internazionali al crowdfunding, dai seppur rari finanziamenti pubblici al contributo, anche con acquisto di opere, da parte di qualche collezionista e filantropo illuminato.
E, poi, questo fenomeno degli spazi indipendenti, autogestiti, diffusi sul territorio, a Roma come a Milano, a Londra come a New York, nelle metropoli così come in provincia, corrisponde alla nuova geografia policentrica del sistema dell’arte. Sul modello del nuovo indirizzo dell’economia capitalista. Dove non c’è più, pertanto, un sistema dominante. Ma un arcipelago di sistemi, chi più chi meno influente. Tutti auto-centrici per quanto aperti all’esterno. Il risultato è una mappa di luoghi e gruppi quanto mai varia e multiforme, spesso caotica (anche per gli stessi addetti ai lavori). E, da oggi, con una bandierina in più sulla pianta della scena indipendente di Roma.
Apre, infatti, ufficialmente i battenti L29. Il nome fa riferimento al suo indirizzo, via Labicana 29, a due passi dal Colosseo. Qui, le artiste Flavia Bigi, Francesca Romana Pinzari e Gaia Scaramella hanno insediato i loro studi e uno spazio galleria no-profit. L29 si vuole distinguere sulla scena romana nell’intento di dar voce a un confronto tra gli artisti residenti e gli ospiti del mondo della cultura che, di volta in volta, saranno invitati a esporre i loro lavori, organizzare presentazioni, workshop e micro residenze.
In occasione dell’inaugurazione odierna, le tre artiste residenti ospitano dalla Francia Madeleine Filippi, curatrice della collettiva d’apertura dal titolo “Memorie Vive”, un’esposizione di opere dei due artisti internazionali, Odie Chaavkaa e Mounir Fatmi, in dialogo con quelle di Flavia Bigi, Francesca Romana Pinzari e Gaia Scaramella.
È significativo che L29, neonato spazio indipendente no-profit, parta proprio da una mostra sulla memoria. Perché è la memoria a contribuire alla costruzione della nostra identità tanto sul piano individuale, quanto su quello sociale, binomio in cui la memoria agisce sia come fattore di individuazione che di appartenenza a una collettività. Ed è proprio dal tema dell’identità, senza retorica e mistificazioni, che occorre partire. In un neocostituito collettivo di artisti come nella società attuale. Ampiamente decostruita e negata dalla voga culturale dominante. Ma riemersa, e demagogicamente sbandierata, quale inquietante fattore politico, in recenti tornate elettorali. (Cesare Biasini Selvaggi)
In alto: Gaia Scaramella, Looking forward, 2017. Foto di Andrea Veneri
In homepage: L29, veduta dell’esterno. Foto di Andrea Veneri