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Parla di «cesura» il direttore dell’Accademia Tedesca di Villa Massimo Joachim Blüher, introducendo questo quarto capitolo del ciclo di mostre sui grandi personaggi della fotografia tedesca del Novecento. Si tratta della cesura, dell’interruzione, della dissoluzione della continuità biografica degli artisti ebrei che sotto il totalitarismo nazista furono costretti a abbandonare la loro patria e ricostruire la propria esistenza altrove, e dunque una brutale e traumatica «interruzione della continuità artistica» sia dei singoli individui, sia della nazione tedesca.
Questo il contesto in cui vanno correttamente lette le 48 fotografie di Lotte Jacobi e Alfred Eisenstaedt, fotografi tedeschi ed ebrei quasi coetanei (l’una del 1896 e l’altro del 1898) che crebbero professionalmente durante la Repubblica di Weimar per poi dover emigrare negli Stati Uniti con l’avvento del Nazismo.
La Jacobi, figlia di un fotografo professionista, sviluppa una spiccata propensione a scandagliare l’interiorità dei soggetti, che la porta ad ottenere risultati quasi espressionistici: i primi piani sono molto ravvicinati, spietati come foto segnaletiche, con il fuoco che si perde mano a mano che lo sguardo procede dal centro alla periferia dell’immagine. Restano impressi lo sguardo acquoso di Peter Lorre, ritratto un anno prima di aver interpretato M – Il mostro di Düsseldorf di Fritz Lang; il viso duro e severo, e inciso come i graffi delle sue matrici xilografiche, di Käthe Kollwitz; la fierezza emancipata di una Lotte Lenya, che sembra uscita da un Dix o da uno Schad. Incredibile poi la sua selfie ante litteram, scattata con una piccola istantanea allo specchio, vestita à la garçonne.
All’arrivo negli Stati Uniti, la Jacobi, svanito il suo mondo professionale insieme al mondo di Weimar, ha comunque il coraggio di rimettersi in gioco: e ne sono dimostrazione le sperimentazioni astratte Photogenics, realizzate su carta fotografica senza macchina.
Lotte Jacobi, Selfportrait
Eisenstaedt al contrario è un fotografo di strada. Affascinato dalla fotografia istantanea coglie i suoi soggetti immersi in una fetta di vissuto, di vita, di contesto quotidiano. Il suo trapianto negli Stati Uniti è meno traumatico, sia perché già in contatto con l’ambiente professionale oltreoceano, sia perché la vivace vita americana offre al suo approccio infiniti spunti di interesse. Da qui il reportage sugli operai afroamericani delle piantagioni di cotone, o lo scatto, ormai pop, del marinaio che bacia la ragazza in Times Square all’indomani della fine della seconda guerra mondiale. I suoi ritratti sono diretti, senza la deformazione espressionistica, seppur minima, e il carattere introspettivo tipici della Jacobi, e colgono sempre il soggetto con un minimo di contesto spaziale: si veda ad esempio il ritratto di Marlene Dietricht del 1929, oppure Gerhart Hauptmann ripreso mentre passeggia sulla spiaggia del Baltico come un novello Goethe.
Ancora una volta – come da qualche anno avviene usualmente sul ring ideale di Villa Massimo – un confronto serrato tra due artisti, fotografi, le cui visioni del mondo più che opposte si rivelano complementari.
Mario Finazzi
mostra visitata il 3 novembre
Dal 5 ottobre al 24 novembre 2017
fotografia 4 – Lotte Jacobi e Alfred Eisenstaedt
Accademia Tedesca di Roma – Villa Massimo
Largo di Villa Massimo, 2, 00161 Roma RM
Orari: da lunedì a sabato dalle 8:00 alle 20:00
Info: www.villamassimo.de