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Luca Grechi è un pittore, ma nella sua personale allestita nella galleria di Tommaso Richter, accompagnata da testi di Francesco Angelucci e Isabella Vitale, va oltre la pittura e presenta dei lavori installativi che si possono considerare un’estensione spaziale e abitabile della pittura stessa. Dal punto di vista tematico, la vocazione di Grechi è per il mondo naturale e in particolare vegetale e, in questa mostra, l’osservazione di piante e fiori si accompagna alle suggestioni di viaggi compiuti negli anni, sedimentate insieme e intrecciate alle impressioni dell’amata Maremma. Echi di colori, paesaggi, vegetazione si tramutano in spunti per lavori concepiti in un frattempo da afferrare, che rischia sempre di svanire, anche se può durare anni, come nel caso della gestazione di quello che l’artista definisce semplicemente un oggetto in mostra. Né installazione, né scultura, si potrebbe definire assemblaggio di due elementi minimi, semplicemente posati su un piedistallo irregolare di legno di reimpiego, dipinto di bianco lasciando in bella vista le venature e i segni delle assi accostate. Sul piedistallo si appoggia una piccola natura morta, binaria, che appare lo sviluppo tridimensionale dell’idea di un dipinto. L’accostamento felice è tra un calco di bicchiere ottenuto con gesso misto a pigmento, che Grechi scolpisce in modo espressionista, e un seme esotico raccolto in Brasile, souvenir di viaggio conservato per quindici anni nello studio dell’artista che ha trovato infine un posto, una destinazione, dopo un’osservazione quotidiana. L’oggetto d’affezione, che non è altro se non un prelievo dal mondo naturale di un cimelio da wunderkammer, s’incontra con un oggetto artificiale, una creazione dell’uomo, generando nell’incontro un nuovo modo di guardare l’insieme che supera il significato delle singole parti. Le diverse polarità si accordano infatti in un’armonia formale e cromatica, un dialogo silenzioso che misura un tempo dilatato, insondabile, sospeso tra casualità e riconoscimento.
Luca Grechi, C’è una volta, Senza Titolo, 2017, ph credits Giorgio Benni
Luca Grechi non è nuovo alla proposta di oggetti ultrapittorici e in passato ha adoperato, per esempio, carte e cartoni arrotolati e poi dipinti. Si conferma la predilezione per lo svolgimento di forme verticali, quasi totemiche, slanciate verso l’alto (e spesso anche le sue tele assumono un andamento verticale). Altrettanto intensa e ascensionale è la grande installazione che immagina un giardino ipogeo, un hortus conclusus denso di rimembranze, disseminando nello spazio stilizzazioni di piante, fronde, rami e alberi di legno sagomato, capaci di evocare un’atmosfera lirica e fiabesca che evoca il “C’è una volta” del titolo. Esotismo e un certo gusto per la messinscena, per la costruzione di una dimensione quasi teatrale in cui la fiaba potrebbe accadere o forse è già finita, rendono esplicita la scomposizione del segno pittorico nello spazio, chiamando il visitatore a entrare dentro i volumi dell’opera, in un’esperienza di oltrepassamento della quarta parete e dell’inganno visivo. In questo spazio aperto all’incontro con il fruitore, si palesa ulteriormente l’umanesimo di Luca Grechi, che già nei suoi dipinti floreali e vegetali ambisce a raccontare il viaggio dell’uomo, la sua crescita e la sua evoluzione, la meraviglia della vitalità.
“C’è una volta” è una mostra a togliere, fatta di enunciati minimi, attentamente misurati, un lavoro che tende alla sintesi, all’essenziale. Oltre alle pitture tridimensionali, espone due le tele: la prima, tesa a un’astrazione giocata su un forte cromatismo, è in forte contrasto con la seconda, monocroma e più figurativa, che esplicita invece il tema floreale. Quattro i disegni, forme elementari di fiori e poi qualcosa d’altro: racemi che diventano teste asinine, con accenti di memorie personalissime mescolati alle infatuazioni di metamorfosi mitologiche, visionarie, che nascono in maniera automatica dal gesto grafico stesso, con un’attitudine sorprendentemente surrealista. Qui s’intuisce la magia del “C’è una volta”, nell’intuizione che nel momento dell’elaborazione dell’opera concorrono fattori ed energie, associazioni fisiche e mentali, sintesi di idee e relazioni che rendono unico il lavoro, irripetibile. Non solo l’arte, è la vita stessa ad assomigliare a un incantesimo e allora questa pittura e questa mostra sono un elogio dell’effimero, un modo di esorcizzare il passaggio del tempo e la caducità, che si fa storia e storie nella geometria triangolare dei rapporti tra artista, opere e pubblico.
Francesco Paolo Del Re
Mostra visitata il 18 ottobre
Luca Grechi. C’è una volta
Galleria Richter Fine Art – vicolo del Curato 3 00186 Roma
Orari: dalle 13:00 alle 19:30 dal martedì al venerdì e il sabato dalle 09:00 alle 20:00. Chiuso domenica
Info: tommaso.richter.85@gmail.com – www.galleriarichter.com