04 febbraio 2018

Bologna Art Week/18. Dökk, la performance dello Studio Fuse al Teatro Testoni

 

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“Metteremo lo spettatore al centro del quadro”. Così la profezia futurista si è compiuta ieri, tra gli sguardi rapiti degli spettatori del Teatro Testoni di Bologna, proiettati in una sinestesia inattesa per 60 minuti di pura evasione cognitiva. Così è andata in scena ieri, 3 febbraio, in anteprima nazionale, la performance Dökk dello Studio Fuse, con l’interpretazione di Elena Annovi e promossa da DAS CUBO. 
Protagonista il corpo, esaltato e moltiplicato, sospeso, portato al limite della gravità e lasciato alla deriva tra reale e virtuale. L’osservatore è stato lanciato in una dimensione scenica che mescola drammaturgia e interattività, in cui anche l’elemento tecnologico è piegato all’hic et nunc del teatro divenendo un partner della protagonista. La Annovi ha vibrato il corpo in sessanta minuti di tensione continua, partendo dall’esplorazione del suolo fino a vibrare i propri nervi nel vuoto del palco, confondendosi al vuoto cosmico di un iperuranio cinetico. 
In effetti, l’interazione tra la coreografia e gli elementi scenici rappresenta uno dei punti focali del progetto Per ottenere questo risultato è stato sviluppato un sistema capace di elaborare sul palcoscenico il risultato della stretta interazione tra diversi dati generati in tempo reale: l’analisi del suono, il movimento della performer, il suo battito cardiaco e l’analisi sentimentale dei contenuti condivisi sui social network. La combinazione di questi dati fa così in modo che ogni messa in scena assuma forme sempre diverse e uniche perché frutto della casualità e dell’imprevedibilità delle informazioni che vengono analizzate. 
Lo Studio Fuse, per fare ciò, si è avvalso del Perception Neuron, un sistema di motion capture caratterizzato da diciotto accelerometri posizionati direttamente sul corpo della performer che hanno permesso il tracking in tempo reale di ogni singolo movimento. Questi dati sono stati incrociati con due kinect posizionate sul palco per ottenere un’interazione ancora più profonda. Dunque ciò che viene messo in scena è una condizione interiore alla costante ricerca di un equilibrio tra luce e buio. Buio è proprio ciò che in islandese significa Dökk. Qui, l’assenza di luce può essere interpretata come una metafora della vita terrena e della percezione della realtà rappresentata come l’ombra di una luce che non si può vedere ma di cui si può solo intuire l’esistenza. 
Partendo da questo concetto è stata sviluppata la narrazione attraverso la creazione di dieci stanze che formano un percorso circolare in cui la fine coincide con un nuovo inizio. Una trasformazione dunque, o meglio una trascendenza, che in piena linea di sangue con la tradizione della pittura italiana si manifesta attraverso l’ascesa, un movimento che dalla terra sale verso il cielo. Il salire, dunque, è fine ultimo della messa in scena, il viaggio intrapreso dalla performer inizia dal calpestio del palco per divenire fluttuante secondo un’aerodinamica inattesa, irreale eppure concretizzata dall’incontro della nuova tecnologia. 
Così avviene che l’occasione di Arte Fiera incentivi alla proliferazione di eventi ulteriori nella città che, nell’OFF della loro condizione, sono capaci di creare zone innovative di dialogo tra arte e scienza. (Marcello Francolini)

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