06 agosto 2019

Intervista a Valerio Carocci

di

Quando la cultura si fa impegno civile: il Cinema America mobilita i “ragazzi” e non solo. Per la cura del territorio

Il Cinema in Piazza San Cosimato. Credits: Andrea Littera
Il Cinema in Piazza San Cosimato. Credits: Andrea Littera

Si è conclusa la quinta edizione dell’attività estiva del Cinema America: tante le proiezioni in tre spazi di Roma, dal centro alla periferia, contando sempre un numero altissimo di affezionati spettatori. Abbiamo intervistato Valerio Carocci, Presidente dell’Associazione Piccolo America, per approfondire l’esperienza di questi ragazzi.

Qual è il bilancio complessivo dell’esperienza estiva del 2019? 

«Mi sembra che intorno al Cinema America e alla sua attività estiva si è consacrato un simbolo che non ha un colore politico. È un rosso porpora (il colore delle magliette iconiche, nda), che è diventato il simbolo di tutti quelli che vogliono prendersi cura dei propri territori. Le associazioni di residenti e i comitati locali entrano in sinergia con noi: dal coordinamento delle associazioni Uniti per la Cervelletta, all’Asilo Savoia, che è l’ente che ha aperto la famosa Palestra della Legalità a Ostia. Il nostro è il simbolo di una parte sociale che lavora per tentare di generare indotti commerciali, culturali e sociali all’interno dei territori. Questa è la vera sfida che affrontiamo qui a Roma, ma in generale nel nostro Paese. Sono realtà che tentano di raccontare le vicende politiche e sociali in maniera laterale. Anziché fare il sit-in o il comizio, c’è l’attività culturale, c’è l’arte come punto d’incontro, di crescita e discussione. La maglietta del Cinema è diventata un simbolo da questo punto di vista: la cultura che diventa occasione di confronto politico in una società che mira a essere inclusiva e accogliente». 

Che rapporto avete con i territori in cui operate?

«Tutto nasce dai territori. La situazione più emblematica è quella della Cervelletta. Come nel caso precedente del Cinema America, che ha innescato un meccanismo virtuoso di tutela di un immobile, abbiamo puntato i riflettori sui comitati locali che già combattevano quelle battaglie. L’obiettivo era quello di salvare un casale dalla demolizione. Dopo la manifestazione cinematografica dell’anno scorso, il casale è diventato il primo dei Luoghi del Cuore FAI della Regione Lazio con 14mila voti, 27esimo a livello nazionale. Tre anni prima prese solo 200 voti. Il cinema si fa portatore delle campagne e delle battaglie civili dei territori. Tutto ciò può nascere solo dove si ha la capacità di innescare queste relazioni». 

Valerio Carocci
Valerio Carocci

Che rapporto c’è, invece, con il panorama cinematografico? Quest’anno abbiamo visto tanti ospiti internazionali presenziare durante la manifestazione

«Abbiamo conquistato a poco a poco un grande affetto. Nasce tutto dalle possibilità di contatti che si generano da altre relazioni, il tutto con estrema naturalezza. Come per il caso del tabaccaio di Natale del Grande che ci diede il numero di Carlo Verdone e lo invitò a venire. La vedova di Bertolucci, Clare Peploe,  sapeva quanto Bernardo fosse affezionato alla nostra storia e ha pensato che fosse giusto ricordarlo in Piazza San Cosimato. È stata lei a scrivere a Jeremy Irons e Debra Winger. Le altre situazioni sono analoghe. Marcelle Padovani del “Nouvel Observateur” ci ha dato la mail di Mathieu Kassovitz, noi l’abbiamo invitato e lui ha risposto che sarebbe venuto “avec plaisir”. Lavoro con Antonio Monda alla Festa del Cinema ormai da quattro anni. Chiesi ad Antonio una mano e lui è stato molto generoso e ha scritto a varie persone, tra cui Paul Schrader, che è venuto a trovarci. L’appello di solidarietà internazionale che abbiamo ricevuto nasce dal lavoro di Clare Peploe, Antonio Monda e Alberto Barbera, che è il direttore della Mostra del Cinema di Venezia. Sono le relazioni che abbiamo curato negli anni che si mettono a servizio di un’esperienza non a scopo di lucro, di esclusivo impegno civile; loro riconoscono la genuinità del progetto e si uniscono a noi». 

Come si organizza l’attività estiva di piazza? Le rassegne si organizzano spesso intorno a un tema.

«Il gruppo di ragazzi è composto da 21 soci. 8 si occupano della programmazione cinematografica; solo 4 tra questi sono cinefili. L’altra metà ha una vocazione più politica, e guarda al cinema con occhi esterni, per quanto ancora possibile. Passiamo 3, 4 mesi a discutere sul programma. Andiamo a Venezia tutti insieme per 10 giorni e parliamo, vediamo quello che proiettano, quello che fanno gli altri festival, e tentiamo di costruire un nostro racconto. Già l’anno scorso scrivevamo le rassegne del 2020.
Negli anni abbiamo capito che sono molto forti le retrospettive sui registi. Tramite i registi, facciamo un percorso all’interno della loro produzione e incontriamo le altre maestranze.  Come per Sorrentino o per Garrone, raccontiamo del montatore, del direttore della fotografia, attori, costumisti, e così via. Creiamo delle maratone che il pubblico ha voglia di vedere dall’inizio alla fine, così com’è successo con Guerre Stellari: 150 persone hanno timbrato la loro presenza alla Cervelletta per sei domeniche consecutive per vedere tutta la saga e noi alla fine abbiamo regalato loro gadget con i simboli di Star Wars e del Cinema America.  Sono maratone iconiche, quest’anno anche a livello visivo, grazie a Daniele Pampanelli, che è il grafico del Cinema PostModernissimo di Perugia. Noi lo abbiamo chiamato perché volevamo assolutamente le sue grafiche per le nostre rassegne». 

Paolo-Sorrentino-Grafica-San-Cosimato
Grafica di Daniele Pampanelli per la Rassegna su Paolo Sorrentino a San Cosimato

Ti sei domandato perché le retrospettive sui registi siano quelle di maggiore successo? 

«Molto spesso si conoscono solo i film più importanti dei registi. Tantissime persone hanno scoperto con noi “Estate Romana”, “Ospiti” e “Terra di mezzo” di Garrone. Lo stesso per Sorrentino con “Sabato, Domenica e Lunedì”, regia cinematografica di un’opera teatrale: in piazza solo 4 persone hanno dichiarato di averlo già visto. Si è creata così l’occasione di tornare indietro e vedere opere meno note, come fosse una nuova prima visione. La nostra è una proposta di un’attività ludica, ma in qualche modo formativa: se vado più volte alla rassegna, sto completando le mie lacune in ambito cinematografico». 

Qual è il programma per il prossimo anno? 

«L’attività estiva proseguirà come quella di quest’anno, puntando ad accogliere sempre più ospiti internazionali. Ma la vera sfida dell’anno prossimo non è l’estate, ma la riapertura del Cinema Troisi. Purtroppo ci sono dei ricorsi che bloccano i fondi, ma questo è il nostro obiettivo: portare il pubblico delle arene all’interno della sala cinematografica e dimostrare che le monosale possono ancora vivere e non devono essere convertite in parcheggi e appartamenti. Abbiamo vinto il bando nel 2015 e questa è la dimostrazione del fallimento dei modelli dei bandi pubblici. Siamo una realtà forte, ben strutturata, e comunque abbiamo enormi difficoltà. Ciò vuol dire che quel modello non è al passo con la crescita culturale e sociale dei nostri territori, e che va rivisto. La Repubblica si basa su una Costituzione che dice che bisogna rimuovere gli ostacoli per l’attivazione dei singoli cittadini, ma se lo Stato diventa un ostacolo più che un risolutore di problemi, vuol dire che qualcosa non funziona». 

Il Cinema in Piazza Credits Andrea Littera
Il Cinema in Piazza Credits Andrea Littera

Avete mai pensato di esportare il vostro modello anche altrove?

«Non crediamo che la nostra iniziativa possa essere esportata da noi. Ogni territorio ha le sue peculiarità e tutto deve nascere dai territori stessi. Dev’essere come per la Cervelletta, San Cosimato e Ostia, territori dove alcuni di noi sono nati, cresciuti e vivono. Così si innesca un modello virtuoso. Se si pensa di arrivare in un territorio e raccontare come stanno le cose, non funzionerà. Le persone non hanno bisogno di questo, ma di opportunità per costruire le loro alternative, non che gli vengano presentate già fatte. La pappa pronta ha ucciso le generazioni.
Naturalmente le idee circolano e noi le lasciamo correre anche senza di noi. È il caso dell’iniziativa del Cinema Cotral, con i bus attrezzati che arrivano nelle piazze di borghi e comuni laziali che non hanno una sala cinematografica, per una proiezione serale. Abbiamo ideato il progetto, sapevamo anche di non avere le forze per realizzarlo e lo abbiamo affidato a terzi, concordando con la Regione e con Cotral che venisse riportato il nostro contributo». 

Come funziona una macchina da lavoro e idee così ben strutturata? 

«Lavoriamo tutti i giorni. Ci sono tre ragazzi che dal lunedì al venerdì, per tutto l’anno, lavorano ininterrottamente con orari d’ufficio, per autorizzazioni, sponsor, bandi, ospiti. È un’enorme macchina. Ormai c’è chi si occupa dell’ospitalità, chi delle traduzioni, chi delle vendite bar, chi del merchandising. Ogni piccola cosa è stata canalizzata su delle piccole competenze. Non so dove andremo a finire. Kassovitz diceva che dobbiamo stare attenti, perché c’è sempre il rischio che le strade si dividano. Per ora siamo felici del fatto che dall’occupazione del cinema siamo riusciti a spostare l’attenzione sulla nostra esperienza. Abbiamo cambiato l’oggetto del nostro racconto, dal cinema occupato a noi stessi, e questo ha tenuto in piedi il gruppo e l’attenzione. Il Cinema America nasce come la battaglia per salvare il cinema, e poi diventa il racconto dell’esperienza stessa dei ragazzi che avevano iniziato quel percorso». 

Yasmin Riyahi

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