25 giugno 2003

visual talking Intervista con Alessandro Amaducci seconda parte

 
Net Art, Internet, videoclip, mercato, performance, dance. Nella seconda parte dell’intervista ad Alessandro Amaducci ci addentriamo nei temi più caldi della realtà videoartistica degli ultimi anni...

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All’interno di questo panorama tecnologico, qual è il tuo atteggiamento nei confronti dell’arte più strettamente digitale (soprattutto Web Art, Net Art): la vedi una filiazione indiretta della videoarte, un elemento di sola o reciproca influenza oppure totalmente distaccata?
Se fossi un’artista nato con questo tipo di mezzi, individuerei nella Net Art e Web Art, come elementi interessanti, le fratture esercitate dall’interattività e soprattutto il poter lavorare in particolar modo con il singolo-utente, dato che non ho mai creduto al concetto di massa, per me inesistente. Non a caso reputo la comunicazione televisiva, tra tv e spettatore, un rapporto individuale. Con Internet questi elementi si accentuano, ma non li vedo conseguenti alla videoarte: per ora il flusso video in Internet ha difficoltà esistenziali e si è ancora troppo legati al concetto di “sito” e ad una realtà prevalentemente ipermediale e ipertestuale. Trovo più vicina e interessante la Generative-Art, che si è occupata dell’auto-generazione casuale dell’immagine, ma in conclusione fatico a trovare dei veri contenuti in questa realtà, oltre alla potenzialità del medium: e ciò contribuisce, senza dubbio, a distanziarla dalla video-arte.Alessandro Amaducci

La realtà dei videoclip musicali ha indubbiamente portato alcune evoluzioni nel campo videoartistico, sia perché alcuni videoartisti vi si sono cimentati direttamente, sia perché il binomio video-musica ha attratto diverse personalità artistiche più o meno affascinate da queste potenzialità creative ed economiche. Anche tu hai realizzato videoclip e immagino che conosca bene questa tendenza sempre più popolare: quali sono, a tuo parere, i punti, le caratteristiche più o meno interessanti e quelle positive o negative?
Vedo in maniera assolutamente positiva tutti gli scambi tra arte e mercato, non a caso mi piacciono personaggi come Andy Warhol e Laurie Anderson, figure, appunto, decisamente in mezzo a queste due realtà. Oskar Fischinger è stato un genio proprio da un punto di vista di marketing dell’arte e il “Sistema dell’arte” spesso implica problemi di distribuzione, promozione, ecc., fondamentali per la tua sopravvivenza artistica. L’ambiente del videoclip da un lato mette in campo denaro necessario alla sperimentazione (assai costosa) nel tecno-digitale e dall’altro crea un’audience. In un ambito settoriale come quello dei video-festival italiani, in cui sono solo presenti critici e video-artisti, tutto è estremamente limitato, mentre il lavorare con il videoclip ti permette di lavorare con la tv, che è l’unico mercato che ti dia possibilità economiche e di pubblico. Tuttavia nel realizzare videoclip godi di una certa autonomia e sperimentazione a prescindere dalla finalità economica principale, che è quella di promuovere l’artista musicale; puoi avere inoltre la possibilità di avere una committenza molto libera che ti dà maggiore autonomia e possibilità creativa. In definitiva la notevole affinità del settore alla videoarte lo presenta come una valvola di sfogo e un serbatoio economico abbastanza libero, anche se la negatività della serialità è sempre in agguato: io stesso avendo iniziato a fare videoclip per gruppi heavy-metal mi sono trovato ad essere esclusivamente per un certo periodo il “regista” di videoclip heavy-metal.
Alessandro Amaducci, General Elektrik
Per rimanere in tema di videoclip musicali, noto che i tuoi ultimi lavori si stanno orientando nella realizzazione di performance video-musica-live, ovvero una sorta di scenografie video create e proiettate in locali e durante i concerti di diversi artisti come MGZ & le Signore, Mauro Campagnoli, Sainkho Namtchylak, Roulette Cinese, ecc. Ci racconteresti meglio queste interessanti attività e alcune collaborazioni artistiche?
La performance video-musica-live è stata per me una chiave di svolta, perché mi ha permesso di risolvere una serie di problemi, come l’evitare l’autoreferenzialità avendo un pubblico che reagisce in diretta. Inoltre questo mi ha permesso di lavorare con immagini fuori contesto: immagini che elaboro a casa indipendentemente da un progetto video e che decido di proiettare la serata seguente, osservando l’effetto che fanno e testando così il lavoro in breve tempo. È vero che nelle serate vj il ruolo preponderante è quello della musica rispetto alle immagini, ma anche discutendo con il pubblico avverto che la gente viene sempre di più alle performance di questo tipo, proprio perché vi è la presenza di un vj. Il punto cruciale sta nel rapporto vj-immagini: se vuoi semplicemente sottolineare l’aspetto musicale e il ballare, rientri in un clima limitante di forte funzionalità; se invece, come io cerco di fare, oltre questo aspetto, tendi a sviluppare un linguaggio scenografico per cui nel proiettare utilizzi più pareti, i corpi stessi delle persone, ecc., ottieni una maggior attenzione spontanea, istintuale,Alessandro Amaducci, General Elektrik diretta del pubblico. Nel caso specifico dei concerti mi trovo a creare in situazioni più teatrali-cinematografiche: si tratta di spettacoli strutturati in cui il video assume un compito o illustrativo o scenografico. Queste idee, in questo momento, mi attraggono parecchio, poiché lavori molto con lo spazio, i corpi, ma senza realizzare video-istallazioni, e soprattutto il poter proiettare su qualsiasi superficie ti sgancia dall’idea di monitor; infine il recupero dell’idea del live, della diretta, la trovo una possibilità assai stimolante.

Non spostandoci di molto dal campo musicale, ci parleresti delle tue esperienze con la videodanza, come la collaborazione con Torino Danza, realtà e tematica artistica peraltro molto ricorrente all’interno della tua produzione video, e in particolar modo sulle possibilità linguistiche che il video introduce in questa “disciplina”?
Essendo un grande sostenitore del corpo, mi piace lavorare su questo concetto esoterico per eccellenza, ricco di simbologie. In verità ho realizzato alcuni lavori di cui non sono pienamente soddisfatto, anche perché è assai difficile trovare danzatori capaci di capire di essere ripresi da una telecamera. La videodanza è indubbiamente una realtà assai interessante e non molto sviluppata, ma è fondamentale per poter ottenere un risultato un buon partner artistico, altrimenti si rischia di non riuscire a concretizzare le proprie idee.

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pietro bussio


Biografia: Alessandro Amaducci, videomaker e critico di videoarte, nasce nel 1967 a Torino e si laurea con una tesi sulla videoarte. Dal 1988 collabora con il Centro Arti visive Archimede di Torino, realizzando corsi pratici di video, attività didattiche in scuole elementari e medie, attività videoteatrali con portatori di handicap. Attualmente svolge l’attività di docente di video per l’ Istituto Europeo di Design di Milano e per il DAMS di Torino. Dal 1991 collabora con l’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, realizzando documentari sulla Seconda Guerra Mondiale, sulla Resistenza, sulle lotte operaie ed altri argomenti inerenti l’attività dell’archivio. Dal 1992 organizza serate sulla videoarte italiana e straniera. Nel 1995-96 collabora al teatro Juvarra di Torino per la realizzazione di spettacoli multimediali. Dal 1996 realizza videoarte, documentari e videoclip come freelance. Dal 1999 si occupa di video-live per varie situazioni di carattere musicale e teatrale.

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