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architettura_design Matali Crasset a Fabrica: Sliding
Architettura
Design “slittante”. Polisemico e polifunzionale, il nuovo oggetto d’uso esalta la duttilità e il trasformismo, all’insegna del comfort “soft”. Un workshop a Fabrica per moderni “nomadi”, dedicato alle intersezioni e alle ibridazioni del senso e dell’uso...
I fratelli Bouroullec e Campana, Patricia Urquiola, Droog Design, ma, soprattutto, Matali Crasset (Châlons-en-Champagne, 1965): la nuova generazione del design internazionale progetta all’insegna della libertà e del trasformismo, abbattendo categorie e confini disciplinari per proporre un nuovo modo, flessibile e informale, di interpretare l’oggetto d’uso e l’ambiente del vivere quotidiano.
Chiamata da Fabrica ad esporre in un workshop il suo approccio progettuale, Matali Crasset (ex-allieva e collaboratrice di Santachiara e di Starck) ha scelto il concetto di “sliding”. Uno “scivolamento” o “slittamento” del significato dell’oggetto che può riguardare le condizioni fisico-ambientali della sua fruizione (sliding “di posizione” e “di stato”) o quelle psicologiche e percettive (sliding “di coscienza o consapevolezza”), in un continuo ribaltamento funzionale che diventa anche inversione del senso, gioco polisemico e “travestimento”. All’interno di una logica sapientemente low tech che configura, come campo privilegiato d’indagine, il fertile territorio del métissage e dell’ibridazione.
Disinteressata a sterili distinzioni (“non mi sembra molto interessante capire se si tratta di arte o di design, è importante l’approccio, che può essere più tecnico o più artistico a seconda del committente”), Matali Crasset compone i suoi accoglienti ed ironici “paesaggi per interni” con oggetti leggeri e facilmente smontabili, in cui l’uso intuitivo e l’estrema piacevolezza tattile e visiva si fondono con un’interpretazione ludica e straniante del materiale e del colore (si veda, ad esempio, il piccolo scrigno per gioielli Be box, realizzato con delle comuni spazzole “riscattate” dalle setole fucsia). Una concezione dell’abitare dinamica e fluida, capace di rilassare e di divertire, pensata per un target giovane che guarda con simpatia e disincanto al concetto di nomadismo degli anni ’60.
Le sedute diventano, allora, morbidi tappeti (Tapis-pouf, Sam Laik 2002), le lampade “galleggiano” nel vuoto (Ierace, Artemide 2001), gli sgabelli si rivelano comodi materassini per brevi pause di relax (Téo de 2 à 3, Domeau et Pérès, 2002), mentre textures parietali di vasi per fiori ricordano all’animale metropolitano l’esigenza primaria della luce (Phytolab, Dornbracht 2001). Oggetti e installazioni che vivono in felice antitesi tra semplicità formale ed eclettismo funzionale, tra archetipo e innovazione, tra riproducibilità tecnologica e invenzione creativa.
Questo concetto soft del design ritorna anche nell’ultima e più impegnativa opera della giovane designer francese: quell’Hotel Hi di Nizza le cui camere differenziate sono state pensate come “un esperimento, il desiderio di proporre ai clienti una nuova esperienza di vita”. Interessante perché, come lei stessa sostiene, “è come progettare un oggetto infinito, che puoi vedere usare e cambiare giorno dopo giorno…”.
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