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fino al 8.XII.2003 Il Tempo del Sogno Firenze, Biblioteca Comunale Centrale
toscana
La pittura come estrema testimonianza di una cultura minacciata. Quadri come mappe del territorio che individuano i luoghi sacri. Con infinite suggestioni, da Pollock a Basquiat…
Narra la cosmogonia aborigena australiana che quando gli antenati si svegliarono dal sonno primordiale, ognuno nella propria fossa, destandosi cominciarono a camminare cantando, e ad ogni passo incontravano un animale, un albero, una collina e davano loro il nome con il canto. Era il Tempo del Sogno.
Grazie all’attività di sensibilizzazione intorno ai luoghi sacri dell’Australia e alla situazione degli Aborigeni -e grazie in larga parte al planetario successo letterario delle Vie dei Canti di Bruce Chatwin – l’immaginario artistico degli indigeni australiani è stato conosciuto in occidente.
L’arte contemporanea aborigena è una forma di pittura-scrittura (l’unico tipo di scrittura noto a questa cultura) da sempre radicata nella tradizione dei nativi. In origine era pittura sul corpo, o sulla terra, realizzata con semi e pigmenti naturali (una tecnica che richiama la suggestione dei mandala tibetani). All’inizio degli anni ‘80, quando la violenza e l’alcolismo minacciavano di dilagare, un consigliere bianco ebbe l’idea di fornire ai Pintupi (una tribù del deserto occidentale) pennelli e colori per invogliarli a trasferire i loro Sogni sulla tela. Dall’oggi al domani nacque una scuola australiana di pittura astratta (B. Chatwin, Le Vie dei Canti).
In realtà la pittura aborigena va molto al di là dell’astrattismo. Nelle 70 opere raccolte per questa prima esposizione italiana, è chiaramente percepibile come l’astrazione sia solo un processo strumentale, quasi un ponte percettivo che gli artisti utilizzano per riportare sulla tela la loro visione del mondo. I totem zoomorfi, e le altre figure, sorgono da una superficie puntinata di colori materici che rappresenta il paesaggio così come lo vedono gli aborigeni.
La mostra comprende diversi esempi di pittura e una raccolta di oggetti rituali finemente decorati: cestelli in corteccia, boomerangs e didjeridoos, i rami di eucalipto che, resi cavi dalle termiti, diventano naturali strumenti musicali.
Ogni artista ha una propria cifra stilistica, una tecnica personale e un modo diverso di trattare i temi tradizionali. Si passa dalla simbologia geometrica (presente su molti sfondi dei batik e come griglia che inquadra le scene sugli oggetti) ad una figurazione di animali stilizzata e raffinatissima (come nelle opere di Jonah Djumburri). Sambo, un pittore sciamano, rappresenta i custodi dei riti segreti attraverso una pittura radiografica che mette in evidenza la natura ibrida, tra uomo e animale, di questi esseri mitologici. Altri artisti sperimentano una forma di action painting chiaramente mutuata dalla cultura americana mentre le donne (Mona Mitaki, Langaliki Derose e le altre), che lavorano prevalentemente il batik, sono riconoscibili per una rappresentazione più astratta e decorativa.
Le opere di Linda Napaltjiarry (ma non solo le sue) ricordano da vicino il graffitismo anni ’80 di Basquiat. Questa affinità, come rileva Lara Vinca Masini nel suo saggio in catalogo, sarebbe alla base del successo commerciale della pittura tribale australiana.
pietro gaglianò
Il Tempo del Sogno
Arte Figurativa Tribale degli Aborigeni Australiani
A cura di Luca Faccenda e Marco Parri
Firenze, Complesso delle Oblate – Biblioteca Comunale (centro storico – zona Duomo)
Centrale, Via S. Egidio, 21, I° Piano.
lun_ sab 10 – 13; 15 – 19.
Ingresso libero
Ufficio Stampa: Catòla & Partners, 055.5522867/892, r.catola@flashnet.it
Catalogo Edifir € 40
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