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Antonio Canova Monumento funebre di Maria Cristina d’Austria
opera
Una lenta processione verso la porta buia di una piramide, la vita che si avvicina al mistero della morte. Non è semplicemente la celebrazione di Maria Cristina, ma una meditata riflessione sul significato della vita. Un’opera neoclassica che anticipa il romanticismo. E che era nata in ricordo di Tiziano Vecellio...
Nel 1790 Antonio Canova aveva ideato su commissione del veneziano Zulian un monumento a Tiziano Vecellio, che avrebbe dovuto essere collocato nella chiesa dei Frari. Un’opera nuova per concezione e significato. Una piramide attraversata dall’ombra nera di una porta, verso la quale tre figure femminili (le allegorie di pittura scultura e architettura) si dirigono in una mesta processione. Sono le arti che piangono la scomparsa di Tiziano, ritratto in un medaglione. L’opera non fu realizzata (è nota attraverso disegni e bozzetti) per la morte improvvisa dello Zulian.
Canova non volle rinunciare all’idea, consapevole di avere creato qualcosa di totalmente nuovo. Non si trattava del consueto monumento funebre, con il sarcofago per le spoglie del defunto, una statua che ne perpetuasse il ricordo e immagini allegoriche a simboleggiare la morte e le virtù del personaggio celebrato (come lo stesso Canova a Roma aveva fatto, nei monumenti a Clemente XIII e Clemente XIV). Il monumento progettato per Tiziano era diverso: scompare il sarcofago, sostituito dalla piramide, simbolo del trapasso dal mondo fisico a quello incorporeo dell’aldilà, il defunto è ricordato solo con un sottile profilo a bassorilievo, rimangono le figure allegoriche, ma non è necessario conoscerne il significato simbolico per cogliere il senso dell’opera, una meditazione sull’esistenza umana, che va oltre la celebrazione del defunto.
Nel 1798 Canova conobbe a Vienna il duca Alberto di Sassonia, vedovo di Maria Cristina d’Austria, che gli commissionò la realizzazione della tomba della moglie. Canova intuì la possibilità di creare finalmente l’opera progettata anni prima per Tiziano. Il lungo carteggio tra i due testimonia come lo scultore si sottragga gradualmente ai canoni imposti dal duca, giungendo con cortesia e fermezza a convincere Alberto di Sassonia (che partiva da un’idea molto diversa) della efficacia delle proprie idee. L’opera fu inaugurata nel 1805.
Una lenta processione si avvia verso il buio profondo di una porta scavata sulla faccia di una piramide. Tre fanciulle a capo chino, la più giovane delle quali ha quasi oltrepassato la soglia nera, recano un’urna e ghirlande di fiori. Sono seguite da una donna che sorregge un vecchio cieco e da un bambino. Alla base della piramide un genio alato (il genio del duca) sembra assopirsi appoggiato ad un leone (la fortezza) privo di energia. Ricordano la defunta solo un medaglione posto sopra l’ingresso della piramide con il ritratto di profilo di Maria Cristina e i simboli araldici delle case di Asburgo e di Sassonia, seminascosti tra il genio alato e il leone. Il ritratto della principessa è incorniciato da un serpente che si morde la coda (simbolo di eternità) e sorretto da una figura alata, la Felicità.
Gli strascichi degli abiti che ricadono sui gradini suggeriscono il lento e faticoso incedere delle donne, che a capo chino, volgendo le spalle a chi guarda, vanno incontro all’oscurità. La porta nera rappresenta il mistero della morte, cui nessuno può sottrarsi, destino ineluttabile di fronte al quale l’uomo può solo chinare la testa; la morte coglie chi vuole, è una giovinetta a varcare per prima la soglia dell’aldilà (nella processione è stata vista una allegoria delle tre età dell’uomo).
Tutto allude allo scorrere inesorabile del tempo, il tappeto che scivola dalla porta della piramide e scende sulle scale, collegando la vita (l’esterno) al mistero della morte (l’interno della piramide), il genio alato e il leone le cui energie vitali sembrano affievolirsi lentamente, i panneggi degli abiti che risalgono con fatica i gradini. Il marmo scolpito da Canova evoca il silenzioso e ineluttabile fluire, esprime la sensazione di profondo dolore con il quale l’umanità accetta impotente il proprio destino. Un’opera elegante e sobria, di grande equilibrio e simmetria, le cui forme levigate e pure si ispirano ai principi del neoclassicismo, ma che racchiude una commovente ed intensa meditazione sulla vita e sul mistero della morte, che anticipa la nuova sensibilità romantica.
biografia Canova nasce a Possagno (Treviso) nel 1757. Dimostra fin da giovane una naturale inclinazione alla scultura, lavorando come apprendista presso la bottega del nonno, tagliapietre e scultore a sua volta. Studia a Venezia, con l’aiuto di Falier suo primo mecenate, dove ottiene i primi successi. Nel 1779 si reca a Roma, dove si stabilisce definitivamente due anni dopo. La sua fama raggiunge tutta l’Europa, riceve commissioni da papi e regnanti (tra questi Napoleone e la sua famiglia). La perfezione delle sue statue è paragonata a quella degli antichi; egli fa rivivere “i più bei tempi della Grecia” (Francesco Milizia, uno dei suoi primi entusiasti ammiratori). Muore a Venezia nel 1822.
bibliografia essenziale
Giulio Carlo Argan, Antonio Canova, Roma 1969
Giuseppe Ravanello, L’opera completa del Canova, Milano 1976
Marco Fabio Apolloni, Canova, Firenze 1992
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Il sito del museo Canova a Possagno
Antonio Canova
Monumento funebre di Maria Cristina d’Austria, 1798-1805
Vienna, Chiesa degli Agostiniani
antonella bicci
progetto editoriale a cura di daniela bruni
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