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Scultura Diffusa 2019 – 1^ Biennale Città di Pinerolo
Il paesaggio urbano e il paesaggio naturale dialogano incrociando piazze e viali con giardini e alberi, un percorso di “scultura diffusa” per il centro storico, con cinque grandi opere che creano un dialogo tra spazio reale e spazio immaginario, ambiente pubblico ed emozione collettiva.
Comunicato stampa
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Tutto iniziò sulla Terra quando, oltre 4 miliardi di anni fa, l'acqua diventò liquida e, quasi 3 miliardi di anni fa, ospitò la prima cellula capace di autogenerarsi e generare forme di vita via via più complesse ed evolute, mediante il processo di fotosintesi. Le piante verdi sono le protagoniste di questa rigenerazione costante del vivente. I più promettenti studi attuali per ottenere energie rinnovabili e pulite, per salvare il pianeta dalla catastrofe ecologica, mirano proprio a riprodurre artificialmente il processo vegetale della fotosintesi.Tutti gli alberi sono alberi della vita, e le recenti ricerche scientifiche della neurobotanica hanno confermato l'intuizione di Darwin che i vegetali fossero organismi intelligenti, dotati di sensorialità e sensibilità.
Gli architetti e scultori torinesi Mariagrazia Abbaldo e Paolo Albertelli, fondatori dello Studio C&C nel 1997, hanno creato con il loro lavoro artistico ventennale non solo un originale percorso di forme, tecniche e materiali, ma un racconto epico del mondo naturale e dello sguardo umano che lo ha rappresentato e rielaborato. Questo racconto per immagini emerge chiaramente dai numerosi volumi che hanno pubblicato con le loro opere, i titoli sono: Alberi, Alphorn, Pesci,Profiles, Mountains, Vigne.
C'è infatti, almeno io lo vedo, un filo rosso tra i temi che hanno scelto di sviluppare, la modalità di plasmare i materiali: acciaio, bronzo, lavorati con il laser e le ossidazioni naturali, pietra e marmo, la sensibilità del loro sguardo che parte dall'idea disegnata o da un'immagine fotografica, si concretizza in sculture-bozzetti di piccolo formato e si amplifica in grandi installazioni ambientali, monumenti, fontane. E' un mito delle origini che ispira la loro opera, un'impronta archetipica personale e collettiva. I ricordi infantili di Mariagrazia provengono dai filari delle vigne del Monferrato che coltivavano i suoi genitori e i suoi avi, le luci cangianti del sole filtravano attraverso i vitigni trasformando l'ambiente naturale, per gli occhi di una bambina sensibile alla bellezza, in una visione metafisica. E camminando o correndo a piedi scalzi poteva capitarle di trovare fossili marini, perché un mare antico, primordiale, copriva quelle terre. Tracce dell'origine del mondo. Dall'acqua al vino, battesimo e benedizione della Terra. Da allora Mariagrazia cerca, attraverso il sogno ad occhi aperti dell'arte, di catturare quelle luci, scandite dal ritmo visivo dei filari, cerca di far rivivere tra essi i pesci e le creature marine che guizzavano come trame d'argento in quel mare ora invisibile ma evocato nella memoria della terra.
I ricordi di Paolo ridisegnano invece i profili delle rocce e delle montagne, ma anche dei boschi d'altura, che il padre, guida alpina, percorreva e saliva, diventando figura emblematica di tutti gli uomini che dialogano con la natura esplorandola, toccandola, amandola e sfidandola, arrampicandosi sulle sue vette per raggiungere e affacciarsi al portale del cielo, quello che si può abitare solo trasformandosi in uccelli. Nella grandiosità degli scenari delle catene montuose, alpine e ancor più himalayane, o nelle distese artiche, l'umano appare nella sua verità di minuscola creatura vivente ma anche di avventuroso funambolo che attraversa ponti sul vuoto, creste di roccia, deserti di ghiaccio, funi sospese per scoprire i propri limiti e contemplare l'illimitato. Da un dialogo con Paolo, mi è rimasta impressa la sua riflessione su un'estetica del profilo, il profilo delle montagne e delle rocce come disegno del limite del visibile che apre all'invisibile metafisico. Oltre ai ricordi, le immagini dei grandi fotografi di montagna o naturalistici che raccontano l'epica alpinistica e il mondo selvaggio, sono motivo d'ispirazione per le sculture di Paolo e Mariagrazia, come se volessero ridare corpo e materia all'immagine, renderla tangibile. Il racconto dei due artisti torinesi sviluppa il mito e l'immaginario personali in una dimensione archetipica collettiva, dove la riproduzione di frammenti di paesaggio, soprattutto boschi, vigneti e montagne, conduce l'elegante sintesi delle forme naturali verso l'astrazione ritmica e la pregnanza simbolica. Le loro opere appaiono tappe di un unico cammino, visioni in sequenza cristallizzate nel manufatto artistico, dove s'incrociano due processi creativi: uno generato, come abbiamo visto, dalla suggestione dei ricordi personali, delle immagini forti incontrate, dalla contemplazione naturalistica; l'altro, suggerito dal lavoro concreto sui materiali, perché l'arte strappa idee alla materia stessa attraverso una costante eplorazione delle possibilità e un'appassionata sperimentazione delle tecniche di lavorazione.
La poetica dei due artisti e architetti torinesi mette in rilievo tridimensionale la potenza espressiva del mondo alpino e marino, vegetale e animale, esplorando con straordinaria sensibilità tattile e visiva l'intervento sull'acciaio, soprattutto l'acciaio corten, che viene talvolta fuso con il bronzo o integrato con la pietra, ritagliato mediante il laser ed esposto a diversi processi di ossidazione naturale. L'uso sapiente e inedito del laser crea una sintesi fra la scultura e l'incisività del segno grafico, con l'effetto sorprendente di un disegno nello spazio realizzato attraverso la materia. L'acciaio, mediante le patine dell'ossidazione, si trasforma in paesaggio, superficie sensibile che simula la roccia, la terra o il manto animale, mentre i vuoti ritagliati in esso dal laser e increspati dalle fusioni metalliche delinenano profili nitidi e ritmici di alberi e boschi, filari di viti, sciami di pesci. Con apparizioni solitarie di alpinisti e funamboli, metafora di un ridimensionamento necessario del ruolo umano nell'ecosistema.
Frequentando lo studio C&C di via Mantova 19 a Torino, molto ampio e luminoso, costellato di opere e progetti, si coglie la dimensione fortemente comunicativa dell'opera di Mariagrazia e Paolo, in cui la ricerca estetica si salda sempre al coinvolgimento emotivo dello spettatore, ma è soprattutto addentrandosi nei meandri del loro laboratorio di via Cagliari 22, poco lontano, dove le sculture nascono e crescono, dove si accumulano e si stratificano i materiali, le prove tentate e riuscite, gli strumenti di lavoro, dove agiscono le energie creative e si metabolizzano le idee, che si entra davvero nel loro mondo di artefici, non solo artisti, non solo architetti, non solo artigiani, e tutte queste abilità insieme. Albertelli si è formato come scultore negli studi dei noti artisti Fermariello, Gastini, Mainolfi e Zorio, collaborando con i paesaggisti Paolo Peyrone e Anna Peyron, mentre Abbaldo ha lavorato con il grande architetto Elio Luzi e ha collaborato nell'ambito della grafica d'arte con gli artisti Dudi D'Agostini e Nella Caffaratti. Se l'arte povera è l'alveo che li ha nutriti, hanno però maturato in un percorso originale la competenza tecnica e la sensibilità alle forme, ai materiali naturali e non, al loro assemblaggio, partendo inizialmente da una produzione in piccolo formato ma proiettandola poi, dopo un felice riscontro di committenza, nella dimensione estesa dell'installazione ambientale, con un'impronta architettonica, sempre molto attenta al dialogo tra opera, spazio pubblico o privato, habitat naturale o artificiale, elementi e strutture di riferimento, in certi casi anche con applicazioni funzionali prossime al design.
Le opere nello spazio urbano
Per la prima edizione della Biennale della Scultura di Pinerolo, ideata dal gallerista Patrik Losano e realizzata con il contributo del Comune e della Fondazione CRT, Abbaldo e Albertelli hanno progettato un percorso di "scultura diffusa" per il centro storico, con cinque grandi opere che creano un dialogo tra spazio reale e spazio immaginario, ambiente pubblico ed emozione collettiva. Usando materiali naturali, come la pietra di Luserna, e metalli trattati, acciaio ossidato e bronzo, fanno crescere alberi simbolici da un palazzo (Teatro Sociale) e nelle piazze (Facta, Duomo, Santa Croce), e uniscono alcuni edifici con rami (via Trento) attraversati da funamboli. L'evento è accompagnato da numerose iniziative collaterali: mostre, concerti, laboratori didattici per bambini, progetti tematici per le scuole secondarie, un concorso video fotografico con storytelling per i giovani. Lo spazio pubblico è sempre, anche, lo spazio di un pubblico, per cui l'arte e l'architettura nell'idea di Losano e nella pratica progettuale di Abbaldo e Albertelli possono creare una suggestione visiva che sia anche servizio culturale alla comunità per rilanciare l'identità del territorio, unendo le radici della tradizione con i frutti dell'arte contemporanea.
Iniziando il percorso da Piazza Facta, si incontra la prima installazione: Landmark. Dalla pietra di Luserna nasce un albero d'acciaio, ritagliato dal disegno del laser, lavorato dalle tracce ossidate degli elementi atmosferici. Un monumento alla natura creato da un gioco di contrasti: la terra fatta pietra, il legno del tronco fatto acciao, la corteccia evocata dall'ossidazione naturale, il disegno del laser che modella la scultura. L'arte esplora e ricrea la natura, trasformando la materia in una metafora e la metafora in materia. Nello spazio urbano della piazza sorge un richiamo solido e forte all'unione simbolica dell'albero e della pietra, al mondo originario dove la vita stessa si genera come seme che ovunque attecchisce, fa parte della nostra memoria ancestrale e personale, compone il nostro paesaggio interiore che, come scriveva il grande poeta Baudelaire, è "una foresta di simboli". Non materia inerte, ma presenza viva che occupa per un momento il passaggio e il passeggio quotidiani, aprendo una nuova dimensione percettiva dello spazio abituale, al quale non facciamo più caso, ma che ambienta sempre le nostre azioni. Spostandosi verso Piazza Verdi, appare Attraversamento, un'opera che è stata acquisita dall'amministrazione comunale e resterà permanente. Il muro cieco del Teatro Sociale, su cui è montata, prende vita. Alberi con i colori autunnali, generati dall'ossidazione naturale dell'acciaio, emergono alla luce della piazza antistante, si affacciano al pubblico dei passanti offrendo loro un dialogo senza parole. Gli alberi sono abbattuti dall'uomo per necessità e purtroppo anche per speculazione, sono l'ossigeno del pianeta eppure l'uomo contemporaneo, che vive prevalentemente in spazi urbani e artificiali, dimentica di respirare grazie ad essi. Ma l'albero risorge sempre, ovunque, dalle macerie e dall'asfalto, dalle strade e dai muri. Al seme, che viaggia col vento, basta una piccola fessura, un minuscolo spiraglio, per infilarsi e rispuntare in forma di pianta, segno di una rigenerazione costante, di una resistenza vitale, lenta, silenziosa e pacifica. Gli alberi che escono dalla parete cieca del teatro portano sulla scena della strada la rappresentazione simbolica della crescita, inaspettata e sorprendente, che spiazza la piazza, trasformandola in un luogo utopico, dove l'arte intreccia sapientemente natura e cultura. Passando in Via Trento bisogna sollevare lo sguardo per vedere l'Equilibrista. Le case possono essere unite dai fili dei panni stesi come nei vecchi quartieri e paesi del meridione, oppure mettere rami come gli alberi cercando sponde a cui legarsi. Così hanno immaginato Abbaldo e Albertelli, per creare ponti e attraversamenti nella geometria troppo regolare delle strade urbane. Su un cammino sottile che è come una lama vegetale sospesa nel vuoto, appare la figura di un funambulo ritagliata nel vuoto. Un equilibrio delicato e precario che comunica ai passanti quanto sia importante essere sensibili e consapevoli per non cadere. Le sue piccole dimensioni lo fanno sembrare molto lontano, una creatura che sta tra cielo e terra, che percorre spazi infiniti nei limiti costruiti dalle pareti dei palazzi. "Io cammino fino al mio limite" diceva il grande alpinista Messner, ma è proprio camminando che la meta si sposta, che i limiti si superano e i confini si dissolvono. Così l'intervento dell'arte ridisegna l'ambiente, rende dinamico ciò che sembra fisso, rende flessibile ciò che sembra rigido, rende aperto ciò che sembra chiuso, unisce ciò che sembra separato. Giunti a Piazza San Donato, appare maestoso Il portale. Quest'opera, realizzata con acciao corten tagliato al laser e ossidato, su base di pietra di Luserna, è liberamente ispirata alla celebre Torre Guinigi di Lucca, trecentesca, alta oltre 44 metri, fatta di mattoni e pietre e culminante sulla sua cima in un suggestivo giardino pensile che ospita sette alberi (lecci). Per i signori di Lucca che l'hanno costruita, e poi per tutta la città toscana, questa singolare combinazione di architettura e natura, proiettata verso il cielo, era simbolo di rinascita. Un'idea che attraversa tutta l'opera di Abbaldo e Albertelli, architetti e artisti, capaci di solide costruzioni ed insieme di fantasie visionarie. Sulla base di un grande masso orizzontale di Luserna alto circa 20 centimetri, ricavato da una spaccatura naturale della roccia, gli scultori torinesi hanno eretto la loro torre, composta da due colonne di lame d'acciao corten saldate insieme e poi ossidate naturalmente, evocando il colore caldo del mattone. In cima domina l'albero come un re, albero simbolico della vita, acciaio ritagliato dalla tecnologia moderna del laser con la finezza dell'artista-orefice antico. La torre è anche una soglia, un portale che rivela al suo interno, come in una trasparenza ideale, la sua lunga radice, anima profonda dell'albero e, secondo le attuali ricerche neurobotaniche, sede dell'intelligenza vegetale. E quella radice pare viva, è resa viva dalla visione dell'arte, capace appunto di svelare ciò che è nascosto per offrirlo agli occhi del suo pubblico. Il tragitto della Biennale di Scultura diffusa si conclude in Piazza Santa Croce, con l'opera più metafisica: Fede, realizzata in bronzo tagliato al laser e ossidato, montato su torre in ardesia. L'obelisco, di origine egiziana e ripreso dai romani, è stato il primo grande monumento metafisico astratto della storia religiosa e artistica: dedicato al Dio Sole era una lancia innalzata al cielo, un ponte ideale tra cielo e terra, un raggio di pietra. Nell'obelisco creato da Abbaldo e Albertelli, con pregiata roccia di ardesia, in cima al quale sorge una quercia in bronzo ossidato, il monumento rivive come una "fede" nuova e antica nello stesso tempo, quella nell'albero, inteso come simbolo della Natura stessa, ciclo vitale di rigenerazione (la quercia è un albero particolarmente robusto, maestoso e longevo, considerato albero sacro di lunga vita presso molti popoli). In un momento in cui la Terra rischia di collassare a causa della dissennatezza umana, tornare a una sorta di devozione laica e di cura ecologica verso ciò che concretamente ci permette di vivere è un obiettivo che dovrebbe unire tutte le genti di tutte le etnie, tradizioni e convinzioni.
Gli architetti e scultori torinesi Mariagrazia Abbaldo e Paolo Albertelli, fondatori dello Studio C&C nel 1997, hanno creato con il loro lavoro artistico ventennale non solo un originale percorso di forme, tecniche e materiali, ma un racconto epico del mondo naturale e dello sguardo umano che lo ha rappresentato e rielaborato. Questo racconto per immagini emerge chiaramente dai numerosi volumi che hanno pubblicato con le loro opere, i titoli sono: Alberi, Alphorn, Pesci,Profiles, Mountains, Vigne.
C'è infatti, almeno io lo vedo, un filo rosso tra i temi che hanno scelto di sviluppare, la modalità di plasmare i materiali: acciaio, bronzo, lavorati con il laser e le ossidazioni naturali, pietra e marmo, la sensibilità del loro sguardo che parte dall'idea disegnata o da un'immagine fotografica, si concretizza in sculture-bozzetti di piccolo formato e si amplifica in grandi installazioni ambientali, monumenti, fontane. E' un mito delle origini che ispira la loro opera, un'impronta archetipica personale e collettiva. I ricordi infantili di Mariagrazia provengono dai filari delle vigne del Monferrato che coltivavano i suoi genitori e i suoi avi, le luci cangianti del sole filtravano attraverso i vitigni trasformando l'ambiente naturale, per gli occhi di una bambina sensibile alla bellezza, in una visione metafisica. E camminando o correndo a piedi scalzi poteva capitarle di trovare fossili marini, perché un mare antico, primordiale, copriva quelle terre. Tracce dell'origine del mondo. Dall'acqua al vino, battesimo e benedizione della Terra. Da allora Mariagrazia cerca, attraverso il sogno ad occhi aperti dell'arte, di catturare quelle luci, scandite dal ritmo visivo dei filari, cerca di far rivivere tra essi i pesci e le creature marine che guizzavano come trame d'argento in quel mare ora invisibile ma evocato nella memoria della terra.
I ricordi di Paolo ridisegnano invece i profili delle rocce e delle montagne, ma anche dei boschi d'altura, che il padre, guida alpina, percorreva e saliva, diventando figura emblematica di tutti gli uomini che dialogano con la natura esplorandola, toccandola, amandola e sfidandola, arrampicandosi sulle sue vette per raggiungere e affacciarsi al portale del cielo, quello che si può abitare solo trasformandosi in uccelli. Nella grandiosità degli scenari delle catene montuose, alpine e ancor più himalayane, o nelle distese artiche, l'umano appare nella sua verità di minuscola creatura vivente ma anche di avventuroso funambolo che attraversa ponti sul vuoto, creste di roccia, deserti di ghiaccio, funi sospese per scoprire i propri limiti e contemplare l'illimitato. Da un dialogo con Paolo, mi è rimasta impressa la sua riflessione su un'estetica del profilo, il profilo delle montagne e delle rocce come disegno del limite del visibile che apre all'invisibile metafisico. Oltre ai ricordi, le immagini dei grandi fotografi di montagna o naturalistici che raccontano l'epica alpinistica e il mondo selvaggio, sono motivo d'ispirazione per le sculture di Paolo e Mariagrazia, come se volessero ridare corpo e materia all'immagine, renderla tangibile. Il racconto dei due artisti torinesi sviluppa il mito e l'immaginario personali in una dimensione archetipica collettiva, dove la riproduzione di frammenti di paesaggio, soprattutto boschi, vigneti e montagne, conduce l'elegante sintesi delle forme naturali verso l'astrazione ritmica e la pregnanza simbolica. Le loro opere appaiono tappe di un unico cammino, visioni in sequenza cristallizzate nel manufatto artistico, dove s'incrociano due processi creativi: uno generato, come abbiamo visto, dalla suggestione dei ricordi personali, delle immagini forti incontrate, dalla contemplazione naturalistica; l'altro, suggerito dal lavoro concreto sui materiali, perché l'arte strappa idee alla materia stessa attraverso una costante eplorazione delle possibilità e un'appassionata sperimentazione delle tecniche di lavorazione.
La poetica dei due artisti e architetti torinesi mette in rilievo tridimensionale la potenza espressiva del mondo alpino e marino, vegetale e animale, esplorando con straordinaria sensibilità tattile e visiva l'intervento sull'acciaio, soprattutto l'acciaio corten, che viene talvolta fuso con il bronzo o integrato con la pietra, ritagliato mediante il laser ed esposto a diversi processi di ossidazione naturale. L'uso sapiente e inedito del laser crea una sintesi fra la scultura e l'incisività del segno grafico, con l'effetto sorprendente di un disegno nello spazio realizzato attraverso la materia. L'acciaio, mediante le patine dell'ossidazione, si trasforma in paesaggio, superficie sensibile che simula la roccia, la terra o il manto animale, mentre i vuoti ritagliati in esso dal laser e increspati dalle fusioni metalliche delinenano profili nitidi e ritmici di alberi e boschi, filari di viti, sciami di pesci. Con apparizioni solitarie di alpinisti e funamboli, metafora di un ridimensionamento necessario del ruolo umano nell'ecosistema.
Frequentando lo studio C&C di via Mantova 19 a Torino, molto ampio e luminoso, costellato di opere e progetti, si coglie la dimensione fortemente comunicativa dell'opera di Mariagrazia e Paolo, in cui la ricerca estetica si salda sempre al coinvolgimento emotivo dello spettatore, ma è soprattutto addentrandosi nei meandri del loro laboratorio di via Cagliari 22, poco lontano, dove le sculture nascono e crescono, dove si accumulano e si stratificano i materiali, le prove tentate e riuscite, gli strumenti di lavoro, dove agiscono le energie creative e si metabolizzano le idee, che si entra davvero nel loro mondo di artefici, non solo artisti, non solo architetti, non solo artigiani, e tutte queste abilità insieme. Albertelli si è formato come scultore negli studi dei noti artisti Fermariello, Gastini, Mainolfi e Zorio, collaborando con i paesaggisti Paolo Peyrone e Anna Peyron, mentre Abbaldo ha lavorato con il grande architetto Elio Luzi e ha collaborato nell'ambito della grafica d'arte con gli artisti Dudi D'Agostini e Nella Caffaratti. Se l'arte povera è l'alveo che li ha nutriti, hanno però maturato in un percorso originale la competenza tecnica e la sensibilità alle forme, ai materiali naturali e non, al loro assemblaggio, partendo inizialmente da una produzione in piccolo formato ma proiettandola poi, dopo un felice riscontro di committenza, nella dimensione estesa dell'installazione ambientale, con un'impronta architettonica, sempre molto attenta al dialogo tra opera, spazio pubblico o privato, habitat naturale o artificiale, elementi e strutture di riferimento, in certi casi anche con applicazioni funzionali prossime al design.
Le opere nello spazio urbano
Per la prima edizione della Biennale della Scultura di Pinerolo, ideata dal gallerista Patrik Losano e realizzata con il contributo del Comune e della Fondazione CRT, Abbaldo e Albertelli hanno progettato un percorso di "scultura diffusa" per il centro storico, con cinque grandi opere che creano un dialogo tra spazio reale e spazio immaginario, ambiente pubblico ed emozione collettiva. Usando materiali naturali, come la pietra di Luserna, e metalli trattati, acciaio ossidato e bronzo, fanno crescere alberi simbolici da un palazzo (Teatro Sociale) e nelle piazze (Facta, Duomo, Santa Croce), e uniscono alcuni edifici con rami (via Trento) attraversati da funamboli. L'evento è accompagnato da numerose iniziative collaterali: mostre, concerti, laboratori didattici per bambini, progetti tematici per le scuole secondarie, un concorso video fotografico con storytelling per i giovani. Lo spazio pubblico è sempre, anche, lo spazio di un pubblico, per cui l'arte e l'architettura nell'idea di Losano e nella pratica progettuale di Abbaldo e Albertelli possono creare una suggestione visiva che sia anche servizio culturale alla comunità per rilanciare l'identità del territorio, unendo le radici della tradizione con i frutti dell'arte contemporanea.
Iniziando il percorso da Piazza Facta, si incontra la prima installazione: Landmark. Dalla pietra di Luserna nasce un albero d'acciaio, ritagliato dal disegno del laser, lavorato dalle tracce ossidate degli elementi atmosferici. Un monumento alla natura creato da un gioco di contrasti: la terra fatta pietra, il legno del tronco fatto acciao, la corteccia evocata dall'ossidazione naturale, il disegno del laser che modella la scultura. L'arte esplora e ricrea la natura, trasformando la materia in una metafora e la metafora in materia. Nello spazio urbano della piazza sorge un richiamo solido e forte all'unione simbolica dell'albero e della pietra, al mondo originario dove la vita stessa si genera come seme che ovunque attecchisce, fa parte della nostra memoria ancestrale e personale, compone il nostro paesaggio interiore che, come scriveva il grande poeta Baudelaire, è "una foresta di simboli". Non materia inerte, ma presenza viva che occupa per un momento il passaggio e il passeggio quotidiani, aprendo una nuova dimensione percettiva dello spazio abituale, al quale non facciamo più caso, ma che ambienta sempre le nostre azioni. Spostandosi verso Piazza Verdi, appare Attraversamento, un'opera che è stata acquisita dall'amministrazione comunale e resterà permanente. Il muro cieco del Teatro Sociale, su cui è montata, prende vita. Alberi con i colori autunnali, generati dall'ossidazione naturale dell'acciaio, emergono alla luce della piazza antistante, si affacciano al pubblico dei passanti offrendo loro un dialogo senza parole. Gli alberi sono abbattuti dall'uomo per necessità e purtroppo anche per speculazione, sono l'ossigeno del pianeta eppure l'uomo contemporaneo, che vive prevalentemente in spazi urbani e artificiali, dimentica di respirare grazie ad essi. Ma l'albero risorge sempre, ovunque, dalle macerie e dall'asfalto, dalle strade e dai muri. Al seme, che viaggia col vento, basta una piccola fessura, un minuscolo spiraglio, per infilarsi e rispuntare in forma di pianta, segno di una rigenerazione costante, di una resistenza vitale, lenta, silenziosa e pacifica. Gli alberi che escono dalla parete cieca del teatro portano sulla scena della strada la rappresentazione simbolica della crescita, inaspettata e sorprendente, che spiazza la piazza, trasformandola in un luogo utopico, dove l'arte intreccia sapientemente natura e cultura. Passando in Via Trento bisogna sollevare lo sguardo per vedere l'Equilibrista. Le case possono essere unite dai fili dei panni stesi come nei vecchi quartieri e paesi del meridione, oppure mettere rami come gli alberi cercando sponde a cui legarsi. Così hanno immaginato Abbaldo e Albertelli, per creare ponti e attraversamenti nella geometria troppo regolare delle strade urbane. Su un cammino sottile che è come una lama vegetale sospesa nel vuoto, appare la figura di un funambulo ritagliata nel vuoto. Un equilibrio delicato e precario che comunica ai passanti quanto sia importante essere sensibili e consapevoli per non cadere. Le sue piccole dimensioni lo fanno sembrare molto lontano, una creatura che sta tra cielo e terra, che percorre spazi infiniti nei limiti costruiti dalle pareti dei palazzi. "Io cammino fino al mio limite" diceva il grande alpinista Messner, ma è proprio camminando che la meta si sposta, che i limiti si superano e i confini si dissolvono. Così l'intervento dell'arte ridisegna l'ambiente, rende dinamico ciò che sembra fisso, rende flessibile ciò che sembra rigido, rende aperto ciò che sembra chiuso, unisce ciò che sembra separato. Giunti a Piazza San Donato, appare maestoso Il portale. Quest'opera, realizzata con acciao corten tagliato al laser e ossidato, su base di pietra di Luserna, è liberamente ispirata alla celebre Torre Guinigi di Lucca, trecentesca, alta oltre 44 metri, fatta di mattoni e pietre e culminante sulla sua cima in un suggestivo giardino pensile che ospita sette alberi (lecci). Per i signori di Lucca che l'hanno costruita, e poi per tutta la città toscana, questa singolare combinazione di architettura e natura, proiettata verso il cielo, era simbolo di rinascita. Un'idea che attraversa tutta l'opera di Abbaldo e Albertelli, architetti e artisti, capaci di solide costruzioni ed insieme di fantasie visionarie. Sulla base di un grande masso orizzontale di Luserna alto circa 20 centimetri, ricavato da una spaccatura naturale della roccia, gli scultori torinesi hanno eretto la loro torre, composta da due colonne di lame d'acciao corten saldate insieme e poi ossidate naturalmente, evocando il colore caldo del mattone. In cima domina l'albero come un re, albero simbolico della vita, acciaio ritagliato dalla tecnologia moderna del laser con la finezza dell'artista-orefice antico. La torre è anche una soglia, un portale che rivela al suo interno, come in una trasparenza ideale, la sua lunga radice, anima profonda dell'albero e, secondo le attuali ricerche neurobotaniche, sede dell'intelligenza vegetale. E quella radice pare viva, è resa viva dalla visione dell'arte, capace appunto di svelare ciò che è nascosto per offrirlo agli occhi del suo pubblico. Il tragitto della Biennale di Scultura diffusa si conclude in Piazza Santa Croce, con l'opera più metafisica: Fede, realizzata in bronzo tagliato al laser e ossidato, montato su torre in ardesia. L'obelisco, di origine egiziana e ripreso dai romani, è stato il primo grande monumento metafisico astratto della storia religiosa e artistica: dedicato al Dio Sole era una lancia innalzata al cielo, un ponte ideale tra cielo e terra, un raggio di pietra. Nell'obelisco creato da Abbaldo e Albertelli, con pregiata roccia di ardesia, in cima al quale sorge una quercia in bronzo ossidato, il monumento rivive come una "fede" nuova e antica nello stesso tempo, quella nell'albero, inteso come simbolo della Natura stessa, ciclo vitale di rigenerazione (la quercia è un albero particolarmente robusto, maestoso e longevo, considerato albero sacro di lunga vita presso molti popoli). In un momento in cui la Terra rischia di collassare a causa della dissennatezza umana, tornare a una sorta di devozione laica e di cura ecologica verso ciò che concretamente ci permette di vivere è un obiettivo che dovrebbe unire tutte le genti di tutte le etnie, tradizioni e convinzioni.
06
settembre 2019
Scultura Diffusa 2019 – 1^ Biennale Città di Pinerolo
Dal 06 settembre 2019 al 06 gennaio 2020
arte contemporanea
Location
SEDI VARIE – Pinerolo
Pinerolo, (Torino)
Pinerolo, (Torino)
Orario di apertura
Itinerario artistico sempre visitabile
Vernissage
6 Settembre 2019, ore 18:00
Sito web
Ufficio stampa
Patrik Losano
Autore
Autore testo critico
Media partner
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