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Alla A+B Gallery di Brescia, una mostra collettiva appare indagare la mutazione delle forme e dei contenuti degli oggetti sensibili, così come possono essere percepiti dall’uomo nel tempo. Una sorta di scavo “archeologico” nella forma grezza delle opere del nostro tempo, secondo percorsi concettuali che invitano l’osservatore ad un’attenta disamina.
Se nel Rinascimento pittura, disegno, prospettiva erano strumenti scientifici di conoscenza della realtà – da qui forse il termine indagare che tanto applichiamo al fare arte – qui il disincanto della modernità si traduce nel dialogo delle opere in mostra. Queste propongono un attento riordino sistematico: una “visione di campo” congelata ad un momento (un istante T°) del tempo, tempo di cui si sa solo che scorre in una relazione non precisata, magica e mistica, ma unitaria, fra il passato e il futuro.
La coscienza dell’evoluzione chiede la destrutturazione delle immagini, in modo da fissarle in una ricostruzione degli elementi basilari – la fonte ontologica -, secondo una logica antropologica e di scienze naturali, come in una collezione bloccata in una griglia (le sculture sommessamente lucenti di McKean) negli scaffali (installazione di Manor Grunewald) in un cumulo di tracce (McKean) nell’iterazione della riproduzione grafica (i tre lavori fotografici di Grunewald).
L’illusorietà del controllo viene svelata con segni casuali e manuali nei singoli pezzi, mentre l’ossessione del riordino cognitivo viene ironicamente invasa dalla casualità di microsculture di Davide Bertocchi, che sono le uniche impronte-ritratto di artista, quasi come le mani di primitivi graffiti rupestri in una grotta (di Platone?).
McKean propone un ciclo di 3 sculture “perfette” in polimeri e polveri metalliche, dove forme tecnologiche, industriali-alimentari, naturali (chiavette usb, biscotti, stelle marine) sono inserite in una griglia in foggia di pannello solare – che imbriglia tempo e luce e li trasforma, ma viene dagli oggetti deformato plasticamente –.
A ciò contrappone un cumulo, in Common, geometricamente ordinato , ma disordinato nell’accostamento, di coperte “etniche”: una sorta di racconto antropologico destrutturato anche dalla sovrapposizione di sculture in creta di forma tra il fantastico il primordiale.
Grunewald in E.H.D., con successivi passaggi di stampa su tela, destruttura in pixels l’immagine del gesto basilare di una mano che dipinge (espressione primaria), ma segna i bordi della tela con leggere pennellate che relativizzano la texture tecnica ricordando il gesto dell’artefice, mentre in Kalorik riordina narrativamente la vicenda della “famiglia consumista felice”, lavorando su fotografie di scatole di elettrodomestici del periodo del boom economico.
Eversivo o discorsivo l’intervento di Bertocchi? Probabilmente ambedue le cose: la semina casuale delle piccole sculture in fimo (calchi dentali, tracce d’artista) dà luogo ad una specie di caccia al tesoro, dove il significante nasconde un significato che ammonisce sulle certezze, e ironicamente si tradurrà in una sorta viaggio nel tempo, con il gioco ancestrale degli “aliossi”, oggetto della performance che avrà luogo alla fine della mostra.
Marco Ticozzi
mostra visitata il 2 settembre
Dal 3 luglio al 27 settembre 2019
Davide Bertocchi, Manor Grunewald, Michael Jones McKean, The raw morphology
Via Gabriele Rosa, 20
25121 – Brescia