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Italia Moderna 1945-1975. Parte seconda: il benessere e la crisi
Italia Moderna 1945-1975. Dalla Ricostruzione alla Contestazione, a cura di Marco Meneguzzo, è un grande progetto dedicato all’arte italiana del Novecento, con oltre 150 opere provenienti dalle collezioni di Intesa Sanpaolo.
PROROGATA AL 6 GENNAIO 2020
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Italia Moderna 1945-1975. Dalla Ricostruzione alla Contestazione, a cura di Marco Meneguzzo, è un grande progetto dedicato
all’arte italiana del Novecento, con oltre centocinquanta opere provenienti dalle prestigiose collezioni di Intesa Sanpaolo. La mostra
è un viaggio scandito in due tappe: la prima, dal titolo Le macerie e la speranza (conclusa ad agosto 2019) ha raccontato gli anni dal
1945 al 1960, durante i quali gli artisti hanno dovuto confrontarsi prima con le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale, poi con
la ricostruzione e la rinascita del paese. “Attorno al 1960 – scrive il curatore Marco Meneguzzo – la società italiana ha quasi
integralmente compiuto la sua rivoluzione, passando dall’essere una società agricola a una industriale in un brevissimo lasso di
tempo. È il ‘boom’: della speranza, del benessere, della speranza di un benessere ancora maggiore, di una crescita che sembra
inarrestabile e dove ogni idea sembra realizzabile”.
Il benessere e la crisi, seconda parte della mostra, rende invece omaggio all’Italia degli anni Sessanta e Settanta, mettendo in
relazione il contesto storico, politico e sociale con quello artistico, rendendo evidente la forte e netta rottura con la cultura
figurativa del passato. La previsione di una società nuova, proiettata nel futuro, era già nelle corde degli artisti (basti ricordare i vari
manifesti dello spazialismo di Fontana e altri, redatto tra il 1946 e il 1952), ma è proprio attorno al 1960 che queste idee si
coagulano e si concretizzano in modi e forme che contraddicono radicalmente le tendenze informali del decennio appena passato.
Tra le peculiarità della svolta c’è da rilevare il radicale mutamento nella considerazione del ruolo dell’artista, con conseguente (o
antecedente) riconsiderazione della funzione dell’arte.
Nella seconda metà degli anni Sessanta lo scenario è radicalmente cambiato: quando nel novembre 1967, sul numero 5 della
neonata rivista d’arte «Flash Art», esce quello che viene considerato il “manifesto” dell’arte povera – Appunti per una guerriglia a
firma del critico Germano Celant – il clima sociale e politico in Italia era alla vigilia di una stagione di rivolgimenti epocali, che
qualcuno potrebbe anche definire prerivoluzionaria. Dall’inizio della contestazione, a partire dal 1967-1968 alla metà del decennio
successivo e oltre, sino almeno all’assassinio di Aldo Moro (maggio 1978), il clima sociale in Italia si è andato radicalizzando. Da
studentesca con qualche vena di anarchia dadaista, la contestazione è diventata operaia, politica e sociale, attraverso una
lunghissima stagione di rivendicazioni e di azioni spesso molto violente, mentre tutto il filone individualista, pacifista, alternativo,
comportamentale, libertario – indistinguibile all’inizio della protesta dalle altre componenti – riveste posizioni di alterità assoluta,
rifugiandosi idealmente nel mondo hippy, nelle esperienze psichedeliche, nella libertà sessuale, nell’uso di sostanze stupefacenti, in
una società utopica.
Poiché negli anni Settanta le prospettive erano quelle di una rivoluzione sociale e di costume, tutti gli intellettuali si sono interrogati
sul proprio ruolo nella società declinante e in quella futura. Gli artisti non fanno eccezione e anzi sono tra quelli che sono stati più
sensibili a questo clima culturale, complici con tutta probabilità i nuovi strumenti linguistici, processuali e tecnologici addottati dalle
neoavanguardie già nel decennio precedente. Di più, l’artista visivo era abituato almeno sin dall’invenzione della fotografia, nel XIX
secolo, a ridefinire costantemente il proprio ruolo all’interno della società, e a questo punto il domandarsi negli anni Settanta “che
ci faccio qui?” poteva addirittura sovrapporsi e coincidere con la propria attività artistica, anziché essere una sorta di indagine
propedeutica. In altre parole, l’analisi del processo artistico, delle motivazioni intime dell’artista, della figura dell’artista nel sistema
dell’arte, del ruolo dell’artista e dell’arte nella società diventa in quegli anni il soggetto stesso dell’azione e dell’opera d’arte, in una
sorta di avvitamento metalinguistico su se stessi che produce però ricerche e, alla fine, opere nuove, centrate appunto sulle minime
varianti di un processo operativo che vede ai poli del proprio orizzonte l’indagine sul linguaggio da un lato, e l’analisi della figura
dell’artista dall’altro.
Esposte in questa seconda parte della mostra opere di grandi nomi del panorama artistico nazionale e internazionale, tra cui Enrico
Castellani, Agostino Bonalumi, Mauro Staccioli, Giuseppe Spagnulo, Mimmo Rotella, Mario Schifano, Pino Pascali, Jannis Kounellis,
Alighiero Boetti, Giuseppe Penone, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Luciano Fabro, Giulio Paolini. Il percorso espositivo si
conclude con opere realizzate alle soglie dei primi anni Ottanta, l’ultimo grande momento di fama internazionale dell’arte italiana.
Italia Moderna 1945-1975. Dalla Ricostruzione alla Contestazione, curated by Marco Meneguzzo, is a great project dedicated to
Italian art of the twentieth century, with over 150 works of art from the Intesa Sanpaolo collections. The exhibition is a journey
divided into two stages: the first, entitled Rubble and Resilience (closed in August 2019), narrates the years from 1945 to 1960,
during which artists dealt first with the devastation of the Second War World, and then with the reconstruction and rebirth of the
country. “By 1960, Italian society had almost brought to fruition its revolution, – writes the curator Marco Meneguzzo – passing
from a predominantly agrarian society to an industrial one in a very short span of years. This was the ‘economic miracle’: of hope,
of well-being, of hope for even greater well-being, of growth that seemed unstoppable, and when every idea seemed achievable”.
Prosperity and Crisis, the second part of the exhibition, pays homage to Italy in the Sixties and Seventies, linking the historical,
political and social context to the story of its art, making clear the strong and clear break with the figurative culture of the past. The
prospect of a new society, projected into the future, was in the minds of artists from the start (exemplary were the various
manifestos of Spatialism by Fontana and others, between 1946 and 1952), but it was around 1960 that these ideas coagulated and
took shape in ways and forms that radically contradicted the informale trends of the decade that was ending. One of the distinctive
features of this breakthrough was the radical change in how the role of the artist was considered, with a consequent (or
antecedent) re-evaluation of the function of art.
In the second half of the 1960s, the stage changed radically. In November 1967, what is considered the manifesto of Arte
Povera—“Appunti per una guerriglia”—was written by the critic Germano Celant for publication in the fifth issue of the fledgling art
magazine Flash Art. Italy’s social and political climate was on the verge of momentous upheavals that some saw as even pre-
revolutionary. From the start of the protests, around 1967-1968, through and even beyond the middle of the following decade, up to
the time of the assassination of Aldo Moro (May 1978), the social climate in Italy was ever more radicalized. From the activism of
the students, not without a streak of Dadaist anarchism, the protests became proletarian, political and social, over a long period,
with urgent demands and often violent demonstrations, while the individualist, pacifist, alternative, libertarian
demographic—indistinguishable at the beginning from the generality of the protest—came to adopt a position of absolute
otherness, retreating into the idealistic world of the hippy, with psychedelic tripping, sexual liberty, and drug-taking in the quest for
Utopia.
In the 1970s, the prospect was that of social and moral revolution; intellectuals asked themselves what their role should be in both
the waning society of the present and the waxing society to come. Artists were no exception—indeed they were among those most
sensitive to the cultural climate, having most likely been complicit in shaping the new linguistic, methodological and technological
instruments adopted by the neo-avantgardes in the previous decade. More, the visual artist was habituated, at least since the time
of the invention of photography in the nineteenth century, constantly to redefine his or her own role in society. The question posed
in the 1970s, “What am I doing here?”, could fold into and coincide with artistic production, instead of being a merely inductive
inquiry. In other words, the analysis of the processes of art, of artists’ most secret intuitions, of his or her position in the art system
and role in society, became in those years in themselves both the material of the artist’s actions and the content of his work in a sort
of centripetal metalinguistic internalization. The innovative research, and ultimately the new works that this produced, focused on
the smallest variations in working methods, moving within a spectrum with at one end the study of language and at the opposite
end the analysis of the identity of the artist.
On display, among others, are works of art by Enrico Castellani, Agostino Bonalumi, Paolo Scheggi, Gianni Colombo, Mauro
Staccioli, Giuseppe Spagnulo, Mimmo Rotella, Mario Schifano, Pino Pascali, Jannis Kounellis, Alighiero Boetti, Giuseppe Penone,
Mario Merz, Luciano Fabro, Giulio Paolini. The exhibition closes with works created on the threshold of the 1980s, the last great
period of international renown of Italian art.
all’arte italiana del Novecento, con oltre centocinquanta opere provenienti dalle prestigiose collezioni di Intesa Sanpaolo. La mostra
è un viaggio scandito in due tappe: la prima, dal titolo Le macerie e la speranza (conclusa ad agosto 2019) ha raccontato gli anni dal
1945 al 1960, durante i quali gli artisti hanno dovuto confrontarsi prima con le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale, poi con
la ricostruzione e la rinascita del paese. “Attorno al 1960 – scrive il curatore Marco Meneguzzo – la società italiana ha quasi
integralmente compiuto la sua rivoluzione, passando dall’essere una società agricola a una industriale in un brevissimo lasso di
tempo. È il ‘boom’: della speranza, del benessere, della speranza di un benessere ancora maggiore, di una crescita che sembra
inarrestabile e dove ogni idea sembra realizzabile”.
Il benessere e la crisi, seconda parte della mostra, rende invece omaggio all’Italia degli anni Sessanta e Settanta, mettendo in
relazione il contesto storico, politico e sociale con quello artistico, rendendo evidente la forte e netta rottura con la cultura
figurativa del passato. La previsione di una società nuova, proiettata nel futuro, era già nelle corde degli artisti (basti ricordare i vari
manifesti dello spazialismo di Fontana e altri, redatto tra il 1946 e il 1952), ma è proprio attorno al 1960 che queste idee si
coagulano e si concretizzano in modi e forme che contraddicono radicalmente le tendenze informali del decennio appena passato.
Tra le peculiarità della svolta c’è da rilevare il radicale mutamento nella considerazione del ruolo dell’artista, con conseguente (o
antecedente) riconsiderazione della funzione dell’arte.
Nella seconda metà degli anni Sessanta lo scenario è radicalmente cambiato: quando nel novembre 1967, sul numero 5 della
neonata rivista d’arte «Flash Art», esce quello che viene considerato il “manifesto” dell’arte povera – Appunti per una guerriglia a
firma del critico Germano Celant – il clima sociale e politico in Italia era alla vigilia di una stagione di rivolgimenti epocali, che
qualcuno potrebbe anche definire prerivoluzionaria. Dall’inizio della contestazione, a partire dal 1967-1968 alla metà del decennio
successivo e oltre, sino almeno all’assassinio di Aldo Moro (maggio 1978), il clima sociale in Italia si è andato radicalizzando. Da
studentesca con qualche vena di anarchia dadaista, la contestazione è diventata operaia, politica e sociale, attraverso una
lunghissima stagione di rivendicazioni e di azioni spesso molto violente, mentre tutto il filone individualista, pacifista, alternativo,
comportamentale, libertario – indistinguibile all’inizio della protesta dalle altre componenti – riveste posizioni di alterità assoluta,
rifugiandosi idealmente nel mondo hippy, nelle esperienze psichedeliche, nella libertà sessuale, nell’uso di sostanze stupefacenti, in
una società utopica.
Poiché negli anni Settanta le prospettive erano quelle di una rivoluzione sociale e di costume, tutti gli intellettuali si sono interrogati
sul proprio ruolo nella società declinante e in quella futura. Gli artisti non fanno eccezione e anzi sono tra quelli che sono stati più
sensibili a questo clima culturale, complici con tutta probabilità i nuovi strumenti linguistici, processuali e tecnologici addottati dalle
neoavanguardie già nel decennio precedente. Di più, l’artista visivo era abituato almeno sin dall’invenzione della fotografia, nel XIX
secolo, a ridefinire costantemente il proprio ruolo all’interno della società, e a questo punto il domandarsi negli anni Settanta “che
ci faccio qui?” poteva addirittura sovrapporsi e coincidere con la propria attività artistica, anziché essere una sorta di indagine
propedeutica. In altre parole, l’analisi del processo artistico, delle motivazioni intime dell’artista, della figura dell’artista nel sistema
dell’arte, del ruolo dell’artista e dell’arte nella società diventa in quegli anni il soggetto stesso dell’azione e dell’opera d’arte, in una
sorta di avvitamento metalinguistico su se stessi che produce però ricerche e, alla fine, opere nuove, centrate appunto sulle minime
varianti di un processo operativo che vede ai poli del proprio orizzonte l’indagine sul linguaggio da un lato, e l’analisi della figura
dell’artista dall’altro.
Esposte in questa seconda parte della mostra opere di grandi nomi del panorama artistico nazionale e internazionale, tra cui Enrico
Castellani, Agostino Bonalumi, Mauro Staccioli, Giuseppe Spagnulo, Mimmo Rotella, Mario Schifano, Pino Pascali, Jannis Kounellis,
Alighiero Boetti, Giuseppe Penone, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Luciano Fabro, Giulio Paolini. Il percorso espositivo si
conclude con opere realizzate alle soglie dei primi anni Ottanta, l’ultimo grande momento di fama internazionale dell’arte italiana.
Italia Moderna 1945-1975. Dalla Ricostruzione alla Contestazione, curated by Marco Meneguzzo, is a great project dedicated to
Italian art of the twentieth century, with over 150 works of art from the Intesa Sanpaolo collections. The exhibition is a journey
divided into two stages: the first, entitled Rubble and Resilience (closed in August 2019), narrates the years from 1945 to 1960,
during which artists dealt first with the devastation of the Second War World, and then with the reconstruction and rebirth of the
country. “By 1960, Italian society had almost brought to fruition its revolution, – writes the curator Marco Meneguzzo – passing
from a predominantly agrarian society to an industrial one in a very short span of years. This was the ‘economic miracle’: of hope,
of well-being, of hope for even greater well-being, of growth that seemed unstoppable, and when every idea seemed achievable”.
Prosperity and Crisis, the second part of the exhibition, pays homage to Italy in the Sixties and Seventies, linking the historical,
political and social context to the story of its art, making clear the strong and clear break with the figurative culture of the past. The
prospect of a new society, projected into the future, was in the minds of artists from the start (exemplary were the various
manifestos of Spatialism by Fontana and others, between 1946 and 1952), but it was around 1960 that these ideas coagulated and
took shape in ways and forms that radically contradicted the informale trends of the decade that was ending. One of the distinctive
features of this breakthrough was the radical change in how the role of the artist was considered, with a consequent (or
antecedent) re-evaluation of the function of art.
In the second half of the 1960s, the stage changed radically. In November 1967, what is considered the manifesto of Arte
Povera—“Appunti per una guerriglia”—was written by the critic Germano Celant for publication in the fifth issue of the fledgling art
magazine Flash Art. Italy’s social and political climate was on the verge of momentous upheavals that some saw as even pre-
revolutionary. From the start of the protests, around 1967-1968, through and even beyond the middle of the following decade, up to
the time of the assassination of Aldo Moro (May 1978), the social climate in Italy was ever more radicalized. From the activism of
the students, not without a streak of Dadaist anarchism, the protests became proletarian, political and social, over a long period,
with urgent demands and often violent demonstrations, while the individualist, pacifist, alternative, libertarian
demographic—indistinguishable at the beginning from the generality of the protest—came to adopt a position of absolute
otherness, retreating into the idealistic world of the hippy, with psychedelic tripping, sexual liberty, and drug-taking in the quest for
Utopia.
In the 1970s, the prospect was that of social and moral revolution; intellectuals asked themselves what their role should be in both
the waning society of the present and the waxing society to come. Artists were no exception—indeed they were among those most
sensitive to the cultural climate, having most likely been complicit in shaping the new linguistic, methodological and technological
instruments adopted by the neo-avantgardes in the previous decade. More, the visual artist was habituated, at least since the time
of the invention of photography in the nineteenth century, constantly to redefine his or her own role in society. The question posed
in the 1970s, “What am I doing here?”, could fold into and coincide with artistic production, instead of being a merely inductive
inquiry. In other words, the analysis of the processes of art, of artists’ most secret intuitions, of his or her position in the art system
and role in society, became in those years in themselves both the material of the artist’s actions and the content of his work in a sort
of centripetal metalinguistic internalization. The innovative research, and ultimately the new works that this produced, focused on
the smallest variations in working methods, moving within a spectrum with at one end the study of language and at the opposite
end the analysis of the identity of the artist.
On display, among others, are works of art by Enrico Castellani, Agostino Bonalumi, Paolo Scheggi, Gianni Colombo, Mauro
Staccioli, Giuseppe Spagnulo, Mimmo Rotella, Mario Schifano, Pino Pascali, Jannis Kounellis, Alighiero Boetti, Giuseppe Penone,
Mario Merz, Luciano Fabro, Giulio Paolini. The exhibition closes with works created on the threshold of the 1980s, the last great
period of international renown of Italian art.
12
settembre 2019
Italia Moderna 1945-1975. Parte seconda: il benessere e la crisi
Dal 12 settembre 2019 al 06 gennaio 2020
arte contemporanea
Location
PALAZZO BUONTALENTI o SOZZIFANTI
Pistoia, Vicolo Dei Pedoni, 1, (Pistoia)
Pistoia, Vicolo Dei Pedoni, 1, (Pistoia)
Orario di apertura
Tutti i giorni dalle ore 10 alle 18, chiuso il mercoledì
Vernissage
12 Settembre 2019, ore 18.30, su invito
Curatore