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Giuliana Silvestrini – Battiti
Battiti comprende opere pittoriche, scultoree, una installazione e un video e nasce da una riflessione sulla condizione di “fatica” dell’uomo e sulla concezione del lavoro nelle sue accezioni positive e negative.
Comunicato stampa
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In occasione di Rome Art Week 2019, la settimana dell’arte contemporanea, Giuliana Silvestrini inaugura, il giorno 22 ottobre 2019 alle ore 18.00, il suo ultimo progetto, Battiti, a cura di Roberta Melasecca.
Il progetto, che comprende opere pittoriche, scultoree, una installazione e un video, nasce da una riflessione sulla condizione di “fatica” dell’uomo e sulla concezione del lavoro nelle sue accezioni positive e negative.
“Il lavoro è valore costituzionale essenziale e ne è riconosciuto il carattere economico, sociale e personale. E’ il fondamento del nostro vivere civile, della realizzazione dell’individuo e della soddisfazione dei bisogni. (…) Il lavoro e, dunque, la fatica come redenzione o mortificazione, come valore che permette di raggiungere le mete desiderate o come azzeramento dell’individualità, sono parti determinanti dell’umanesimo costruttivo, di un percorso di buio e luce, di negazioni e affermazioni che insieme tendono ad un progresso universale e personale. (…)
Il progetto Battiti di Giuliana Silvestrini è una preghiera sulla fragile condizione umana, a volte incapace di sopportare la fatica del lavoro e della vita, sottomessa all’annullamento e annichilimento del corpo e dell’anima. Ma è anche un canto di riscatto e tensione, un canto di liberalizzazione e resurrezione, nel quale l’uomo realizza la propria e l’altrui umanità (cit. Karol Wojtyła). L’artista si impadronisce della folle immaginazione e la sua mente plasma una creatura pensante e pulsante, congelata nell’attimo della scelta, in quel frangente immaginifico che Simone Weil scruta negli scritti La Condizione Operaia e Riflessioni, dove la concezione del lavoro è duplice: da una parte il lavoro coincide con la fatica ottusa, con la divisione estrema tra anima e corpo, con la mortificazione della coscienza che annienta e da cui ci si può riscattare solo attraverso l’adeguamento docile ad uno stato di necessità (Simone Weil, La Condizione Operaia); dall’altra il lavoro è Metaxù, ponte, chiave d’accesso al reale da cui discende il Sovrannaturale, l’apice dell’unità che coincide con la minima, indispensabile, inalienabile “fatica” (Simone Weil, Riflessioni). Il lavoro, allora, è lo strumento per recuperare spazi di libertà, è il lavoro lucido, filtrato dal pensiero, è consapevolezza di sé ed azione. Il lavoro non degrada se recupera lo spazio per l’attenzione e se fonde la funzione sociale e della relazione con la funzione trascendente dell’anima.
Battiti è l’immagine di una figura ripiegata su ste stessa: forse lontana, immersa in una realtà altra, cerca nel suo intimo energia e una nuova coscienza, e costruisce una diversa configurazione fisica e spirituale che trae in sé e nel possibile sguardo verso l’altro potenza vivificatrice e generatrice. Dentro l’involucro crudo e misterioso scorrono battiti, colpi sordi di negata vita che trascendono verso mondi di valore e dignità e che si materializzano attraverso diversi codici linguistici e attraverso varie tecniche – pittoriche, scultoree, installazioni e video. Un ciclo di opere pittoriche, di bozzetti e di studi evidenziano capacità descrittiva e visionaria ed un uso poetico dei colori e preannunciano la figurazione di una scultura in terra, sabbia e paglia, materiali primordiali che profumano di essenze ancestrali e raccontano di lotte interiori, di nascondimenti e salvezze. L’esercito di figurine in terracotta, simili tra loro, disposte nella stessa fissata posizione nel corpo e nello spazio, definiscono dimensioni relazionali oggettive e soggettive, delineando attività, risorse e strumenti e lo stesso agire dell’uomo che conduce ad un percorso di liberazione. In mostra anche un’installazione realizzata con tralci di vite, metafora della fatica del lavoro e delle relazioni umane, memoria di un passato e prefigurazione di un futuro, di un nuovo umanesimo che emerge da una struttura intricata e convulsa. Completa il progetto un video, dove suoni ripetitivi e meccanici accompagnano immagini astratte, ruotanti e vibranti e dalle quali emerge una vena pulsante, vita ciclica che si rinnova ogni giorno.
Giuliana Silvestrini, biologa, counsellor in Arte Terapia, Laurea Magistrale in Pittura presso l’Accademia delle Belle Arti di Roma, si avvale di differenti media, spaziando dalla pittura, in cui ricerca con un linguaggio informale la drammaturgia del gesto pittorico, alle sculture/installazioni, dove in dialogo con la pittura si ritrovano tracce del tempo, storie minime, memorie, identità. Utilizza inoltre video, fotografia, elaborazioni sonore, in un’arte “neo-concettuale”, che in una dimensione spazio/temporale tende al principio fondante di “opera aperta”. Nell’ambito di un processo artistico tende a esorcizzare gli stati emotivi, temi quali la memoria (vedi “Non posso farne a meno”, Scuderie Aldobrandini, 2015), l’identità e la relazione con l’altro (vedi nell’Autoritratto “Io e l’altro”, 2014) sono centrali e in continua evoluzione. Infine l’uso di oggetti, cose, che appartengono al quotidiano, che si arrichiscono di significati nel tempo, come, lo stesso pane secco che è ludicamente trasformato da materiale organico da avanzo in materiale simil organico da esposizione artistica, in un processo che lo porta a diventare forma plastica in scena (Ciriaco Campus, Food Art, 2014, Milano) rivelano una poliedricità artistica in continua trasformazione.
Il progetto, che comprende opere pittoriche, scultoree, una installazione e un video, nasce da una riflessione sulla condizione di “fatica” dell’uomo e sulla concezione del lavoro nelle sue accezioni positive e negative.
“Il lavoro è valore costituzionale essenziale e ne è riconosciuto il carattere economico, sociale e personale. E’ il fondamento del nostro vivere civile, della realizzazione dell’individuo e della soddisfazione dei bisogni. (…) Il lavoro e, dunque, la fatica come redenzione o mortificazione, come valore che permette di raggiungere le mete desiderate o come azzeramento dell’individualità, sono parti determinanti dell’umanesimo costruttivo, di un percorso di buio e luce, di negazioni e affermazioni che insieme tendono ad un progresso universale e personale. (…)
Il progetto Battiti di Giuliana Silvestrini è una preghiera sulla fragile condizione umana, a volte incapace di sopportare la fatica del lavoro e della vita, sottomessa all’annullamento e annichilimento del corpo e dell’anima. Ma è anche un canto di riscatto e tensione, un canto di liberalizzazione e resurrezione, nel quale l’uomo realizza la propria e l’altrui umanità (cit. Karol Wojtyła). L’artista si impadronisce della folle immaginazione e la sua mente plasma una creatura pensante e pulsante, congelata nell’attimo della scelta, in quel frangente immaginifico che Simone Weil scruta negli scritti La Condizione Operaia e Riflessioni, dove la concezione del lavoro è duplice: da una parte il lavoro coincide con la fatica ottusa, con la divisione estrema tra anima e corpo, con la mortificazione della coscienza che annienta e da cui ci si può riscattare solo attraverso l’adeguamento docile ad uno stato di necessità (Simone Weil, La Condizione Operaia); dall’altra il lavoro è Metaxù, ponte, chiave d’accesso al reale da cui discende il Sovrannaturale, l’apice dell’unità che coincide con la minima, indispensabile, inalienabile “fatica” (Simone Weil, Riflessioni). Il lavoro, allora, è lo strumento per recuperare spazi di libertà, è il lavoro lucido, filtrato dal pensiero, è consapevolezza di sé ed azione. Il lavoro non degrada se recupera lo spazio per l’attenzione e se fonde la funzione sociale e della relazione con la funzione trascendente dell’anima.
Battiti è l’immagine di una figura ripiegata su ste stessa: forse lontana, immersa in una realtà altra, cerca nel suo intimo energia e una nuova coscienza, e costruisce una diversa configurazione fisica e spirituale che trae in sé e nel possibile sguardo verso l’altro potenza vivificatrice e generatrice. Dentro l’involucro crudo e misterioso scorrono battiti, colpi sordi di negata vita che trascendono verso mondi di valore e dignità e che si materializzano attraverso diversi codici linguistici e attraverso varie tecniche – pittoriche, scultoree, installazioni e video. Un ciclo di opere pittoriche, di bozzetti e di studi evidenziano capacità descrittiva e visionaria ed un uso poetico dei colori e preannunciano la figurazione di una scultura in terra, sabbia e paglia, materiali primordiali che profumano di essenze ancestrali e raccontano di lotte interiori, di nascondimenti e salvezze. L’esercito di figurine in terracotta, simili tra loro, disposte nella stessa fissata posizione nel corpo e nello spazio, definiscono dimensioni relazionali oggettive e soggettive, delineando attività, risorse e strumenti e lo stesso agire dell’uomo che conduce ad un percorso di liberazione. In mostra anche un’installazione realizzata con tralci di vite, metafora della fatica del lavoro e delle relazioni umane, memoria di un passato e prefigurazione di un futuro, di un nuovo umanesimo che emerge da una struttura intricata e convulsa. Completa il progetto un video, dove suoni ripetitivi e meccanici accompagnano immagini astratte, ruotanti e vibranti e dalle quali emerge una vena pulsante, vita ciclica che si rinnova ogni giorno.
Giuliana Silvestrini, biologa, counsellor in Arte Terapia, Laurea Magistrale in Pittura presso l’Accademia delle Belle Arti di Roma, si avvale di differenti media, spaziando dalla pittura, in cui ricerca con un linguaggio informale la drammaturgia del gesto pittorico, alle sculture/installazioni, dove in dialogo con la pittura si ritrovano tracce del tempo, storie minime, memorie, identità. Utilizza inoltre video, fotografia, elaborazioni sonore, in un’arte “neo-concettuale”, che in una dimensione spazio/temporale tende al principio fondante di “opera aperta”. Nell’ambito di un processo artistico tende a esorcizzare gli stati emotivi, temi quali la memoria (vedi “Non posso farne a meno”, Scuderie Aldobrandini, 2015), l’identità e la relazione con l’altro (vedi nell’Autoritratto “Io e l’altro”, 2014) sono centrali e in continua evoluzione. Infine l’uso di oggetti, cose, che appartengono al quotidiano, che si arrichiscono di significati nel tempo, come, lo stesso pane secco che è ludicamente trasformato da materiale organico da avanzo in materiale simil organico da esposizione artistica, in un processo che lo porta a diventare forma plastica in scena (Ciriaco Campus, Food Art, 2014, Milano) rivelano una poliedricità artistica in continua trasformazione.
22
ottobre 2019
Giuliana Silvestrini – Battiti
Dal 22 al 27 ottobre 2019
arte contemporanea
Location
IL LABORATORIO
Roma, Via Del Moro, 49/50, (Roma)
Roma, Via Del Moro, 49/50, (Roma)
Orario di apertura
tutti i giorni dalle 11.30 alle 21.30
Vernissage
22 Ottobre 2019, ore 18.00
Sito web
Ufficio stampa
Melasecca PressOffice
Autore
Curatore
Autore testo critico